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Networks Convergence “Potential & Problems”  – La Convergenza delle Reti “Potenzialità e Criticità”
Networks Convergence Potentials & Problems Intellisystem

Networks Convergence “Potential & Problems” – La Convergenza delle Reti “Potenzialità e Criticità”

Per comprendere le potenzialità e le criticità della convergenza delle reti, passando dalle telecomunicazioni (TLC) alle tecnologie dell’informazione e delle comunicazione (ICT) all’Internet delle cose (IOT): abbiamo intervistato i referenti di alcune tra le più importanti imprese nel settore dell’automazione industriale. Vediamo cosa hanno detto

Con Cristian Randieri, presidente e CEO di Intellisystem Technologies; Sophie Borgne, marketing director Industry BU di Schneider Electric; Alberto Griffini, manager Advanced PLC&Scada di Mitsubishi Electric; Roberto Motta, solution architect team leader Connected Enterprise di Rockwell Automation; Cristian Sartori, industrial communication product manager di Siemens Italia; Marika Silla, marketing specialist di Advantech; Francesco Tieghi, responsabile digital marketing di ServiTecno; Alexander Bufalino, chief marketing officer di Telit; Michele Frassini, responsabile sales and marketing M2M e IoT di Vodafone Italia.

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Oggi la convergenza delle reti si sta facendo via via sempre più spinta: reti dati che trasportano anche l’alimentazione e consentono di ridurre i cablaggi, reti industriali accessibili via web e che dal web traggono informazioni per il funzionamento dei dispositivi, reti nate per il mondo ‘office’ o aziendale che si ‘trasformano’ per ‘scendere’ in campo e, doverosamente ‘modificate’ e irrobustite, vengono utilizzare anche dall’industria. Con l’avvento di concetti quali Industry 4.0 e lo svilupparsi dell’idea della ‘fabbrica interconnessa’, poi, era inevitabile che il fenomeno della convergenza si acuisse ancora di più. Con tutte le problematiche e criticità che esso comporta, da quelle legate alla sicurezza dei dati e alla privacy, alla necessità di dotarsi di soluzioni in grado di resistere alle difficili condizioni ambientali del mondo manifatturiero. Centrali poi si stanno rivelando i problemi legati alla standardizzazione dei protocolli e all’interoperabilità delle soluzioni impiegate, perché, per poter scambiare informazioni e costruire applicazioni ‘intelligenti’ sulla base dei dati raccolti, occorre che i diversi dispositivi in gioco ‘parlino’ la stessa lingua e possano quindi ‘comprendersi’. Cosa a oggi non scontata e alla quale gli organismi regolatori dovranno dare al più presto una risposta… Abbiamo cercato di capire con i maggiori vendor del settore dove ci porterà questo trend. Già ora vediamo affacciarsi sul mercato industriale nuovi player e soggetti il cui business era prima focalizzato su ambiti affini ma separati. Gli operatori Telecom, per esempio, cominciano a vedere nel mondo industriale un interessante ambito di sviluppo per le applicazioni che si basano sulle reti. Dall’m2m all’Internet of Things le reti di telecomunicazione potranno giocare un ruolo importante e le Telco intendono sfruttare a pieno questo business proponendo anche soluzioni proprie. È un mercato ancora tutto da costruire, dove mandano applicazioni e dove c’è spazio un po’ per tutti i soggetti per crescere. Vediamo dunque quali sono le impressioni raccolte da Fieldbus&Networks e quali le esperienze maturate in questo ambito.

Di seguito riportiamo l’estratto dell’articolo riguardante le risposte date da parte del nostro Presidente e CEO Cristian Randieri

1) Quali sono i requisiti e le priorità su cui si basa la vostra strategia di convergenza delle reti dal livello aziendale al livello di singolo impianto di produzione?

Storicamente il fenomeno della convergenza delle reti è nato come processo di integrazione all’interno di ciascuno dei seguenti settori: le tecnologie (informatica e telecomunicazioni), con i relativi standard tecnici e i mercati, con tendenza alla confluenza di aree in antecedenza rigorosamente distinte. Progressivamente, il processo di convergenza si è esteso a un’integrazione tra diversi settori, con una spiccata tendenza a creare un interlacciamento sempre più profondo tra di essi. Il driver della convergenza delle reti, sino a qualche tempo fa, è stato legato alla confluenza tra informatica e TLC (ICT), processo che per molti anni è stato caratterizzato da aspetti di forte confluenza tecnologica, rimanendo praticamente sterile dal punto di vista di un’unificazione e potenziamento dei mercati. Dall’inizio degli anni ‘90 la tecnologia ICT ha iniziato a trasformarsi in un nuovo unico segmento di mercato e, da allora, l’unione delle due tecnologie si è rivelata indispensabile per fornire reti e applicazioni di tipo innovativo. Il ruolo di Internet è stato certamente fondamentale nel portare a compimento questo processo, dando un forte impulso alle tecniche di trasporto dell’informazione mediante un servizio con una qualità definita e controllata. Oggi si sta assistendo a una naturale evoluzione dell’ITC verso l’integrazione con sistemi elettronici, da cui scaturisce la filiera dell’Internet delle Cose. Mai come in passato si è assistiti a una totale convergenza delle tecnologie basate sull’informatica, l’elettronica e le telecomunicazioni. Nuove dinamiche della domanda e della tecnologia pongono le imprese dell’intera filiera dinanzi a scelte strategiche complesse e per nulla scontate, da cui dipenderanno in larga misura la diffusione delle medesime. Nel caso nostro, poiché la nostra realtà aziendale si basa sulla ricerca e sviluppo di nuove soluzioni nel campo ingegneristico industriale, tale evoluzione rappresenta un vantaggio, poiché oggi non si può parlare di ricerca e sviluppo se non si ha la completa padronanza delle tre tecnologie basate sull’informatica, elettronica e telecomunicazione”.

2) In che modo si può garantire un livello di standardizzazione per componenti, protocolli di comunicazione e mezzi trasmissivi tale da garantire l’interoperabilità dei sistemi forniti da diverse aziende?

Il mondo ICT si trova oggi nel mezzo di una fase di discontinuità tecnologica e di mercato. La discontinuità tecnologica può essere sinteticamente spiegata ricordando che la diffusione dei sistemi elettronici gestibili tramite Internet ha schiuso negli ultimissimi tempi nuovi scenari di convergenza che da circa un decennio hanno animato dibattiti in tutto il mondo in termini di standardizzazione. La discontinuità di mercato, diretta conseguenza della prima, è data dalla circostanza che il nuovo scenario di concorrenza e/o cooperazione fra differenti piattaforme e standard fa emergere nuovi possibili bisogni dei consumatori, dunque nuove opportunità e rischi per le imprese della filiera. Più in dettaglio, occorrerà aumentare il livello di standardizzazione dei componenti, dei protocolli di comunicazione e dei mezzi trasmissivi con l’obiettivo di ottenere l’interoperabilità di sistemi forniti da diverse aziende. Affinché il mercato dell’IoT possa decollare è fondamentale condividere le informazioni, accordarsi sugli standard tecnologici, fare ‘mash-up’ applicativo. Soprattutto, è necessario che cambi il modello di business: le aziende dovranno accettare che prima di competere, e per poterlo fare al meglio, è fondamentale cooperare. Più facile a dirsi che a farsi. La soluzione migliore sarebbe quella di definire uno o più standard internazionali, che, poggiandosi su protocolli standard, possano scongiurare una frammentazione del mercato.

3) Come interagisce la convergenza delle reti con le altre soluzioni tecnologiche come i big data, il cloud e le app digitali?

La convergenza delle reti con le altre soluzioni tecnologiche come i big data, il cloud e le app digitali aprono nuovi. È ciò che promette l’IoT non senza preoccupazioni da parte dei CIO e degli IT manager i quali, consapevoli delle opportunità e del valore di business generabili dai dati prodotti e scambiati dalle miriadi di oggetti interconnessi, riconoscono anche l’inadeguatezza degli strumenti tecnologici tradizionali e la necessità di un intervento massivo sul piano infrastrutturale e architetturale. Una trasformazione che implica poi nuove focalizzazioni di carattere organizzativo e sulle competenze. Personalmente, sono concorde con l’idea di molti osservatori che definiscono tale convergenza come la quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dall’integrazione dei processi fisici con i nuovi processi digitali, dall’utilizzo delle informazioni e dei dati e dall’ottimizzazione dei processi operativi, sia in termini di tempo e di qualità che di costi, sicurezza e variabilità. Questa ‘convergenza’ coinvolgerà trasversalmente i diversi processi manifatturieri, dalla produzione al supporto. In questo contesto, nel prossimo futuro, solo le imprese capaci di creare valore aggiunto nei diversi stadi della produzione, assicurando una comunicazione in tempo reale tra i diversi attori della catena, saranno in grado di guadagnare competitività e quote di mercato.

4) Con l’aumento dei dati disponibili si pongono due problemi: come gestirne la sicurezza e l’accesso e come ottenere informazioni decisionali utilizzabili in pratica: quali soluzioni proponete?

L’aumento dei dati prodotti e disponibili rende la gestione della sicurezza molto più complessa, con un numero più elevato di interdipendenze e maggiori responsabilità. Poiché i processi industriali seguono sempre di più la strada della convergenza delle reti, per i team della sicurezza la raccolta e la gestione di un maggior numero di dati si rivelano un’opportunità, ma anche una sfida. Saranno pertanto richiesti sempre più investimenti in strumenti di gestione dei registri, delle vulnerabilità, delle identità delle configurazioni. A mio avviso, la soluzione è quella di adottare una strategia con approccio big data per l’analisi predittiva dei dati e la gestione della sicurezza. La gestione della sicurezza ottimale per i big data dovrebbe richiede un sistema in grado di: estrarre e presentare i dati chiave per l’analisi nel modo più rapido ed efficiente, eliminando le noiose attività manuali nelle operazioni di risposta o di valutazione di routine; eliminare il ‘rumore’, per fornire agli analisti le indicazioni per concentrarsi sui problemi con impatto elevato; fornire informazioni di supporto in modo da evidenziare i probabili problemi principali e la loro causa. Il termine ‘big data’ non dovrebbe indicare solamente grandi quantità di dati. Essi richiederanno un’analisi di gran lunga più intelligente, per individuare le minacce alla sicurezza fin dall’inizio, con l’infrastruttura per raccogliere ed elaborare i dati su scala.

5) Come cambia la gestione di manutenzione, diagnostica e ricerca guasti?

L’utilizzo crescente di dati (loro raccolta e analisi) permetteranno di sviluppare sistemi predittivi che migliorano le azioni e le decisioni sia delle macchine sia degli operatori. L’analisi dei dati inerenti la gestione della manutenzione, diagnostica e ricerca guasti richiede modelli e tecnologie potenti, in grado di fornire indicazioni utili al fine di minimizzare l’incertezza delle decisioni. In questo contesto, l’utilizzo di big data con i relativi strumenti di analisi (analytics) rappresentano una delle aree di sviluppo più promettenti. La capacità di gestire rapidamente ingenti volumi di dati, spesso di varia natura, permette infatti di identificare ‘pattern’ che possono rivelarsi di fondamentale importanza per la risoluzione dei problemi in tempi brevi. Parallelamente al crescente utilizzo dei dati, sempre più industrie adotteranno soluzioni tecnologiche per ridisegnare i processi manifatturieri e le funzioni di supporto alle attività operative. Faranno parte di questa categorie tutti gli ‘smart device’, i sistemi di ‘artificial intelligence’ e più in generale tutti i processi di automazione.

6) Il personale in azienda possiede già il giusto livello di competenze per interagire con i nuovi sistemi?

La convergenza di cloud, mobile, big data e social da una parte, e di sensori dall’altra, sta generando enormi nuove opportunità per le aziende di offrire ai propri clienti e dipendenti servizi e modalità di interazione fino a ieri impensabili. Persone, cose, macchine e processi stanno diventando sempre più interconnessi in rete, creando un canale permanente tra mondo reale e dimensione virtuale, e rivoluzionando il modo di interagire di tutti non contesto lavorativo e aziendale, ma anche nella sfera privata. Questa rivoluzione implica una profonda trasformazione dei processi produttivi, che non possono prescindere da una formazione continua del personale aziendale, che nella maggior parte dei casi non possiede ancora il giusto livello di competenze per interagire con la progressiva convergenza fra il sistema industriale, le tecnologie ICT e le infrastrutture di comunicazione. In effetti, si dovrebbe parlare di ‘ecosistema IoE’ (Internet of Everything), in grado di incorporare, oltre a cose, dati e processi, anche le persone. Secondo un recente sondaggio condotto da Cisco Consulting Services, le aziende che saranno in grado di ricavare nuovo valore aggiunto saranno quelle che sapranno focalizzarsi sul miglioramento delle competenze relative alla gestione dei dati (integrazione, automazione e analisi) e sull’agilità complessiva dei processi, e non da quelle organizzazioni che, semplicemente, connetteranno la maggioranza dei dispositivi alla rete. Inoltre, per arrivare a risultati di successo sarà imperativo non solo formare nuove competenze all’interno del personale, ma creare anche un’efficace lavoro di squadra fra reparti IT e OT, abbinando il tutto a un esteso ecosistema di partner.

7) Quali sono le applicazioni che potrebbero ottenere più vantaggi dalla convergenza delle reti?

I recenti sviluppi tecnologici in ambito digitale, supportati dalla diffusione di dispositivi e dalle infrastrutture di connettività, hanno di fatto favorito l’atomizzazione della catene del valore e lo sviluppo di interfacce di accesso digitale. Queste ultime, a mio avviso, consentono di collegare direttamente il cliente finale alle strutture di pianificazione produttiva, proiettando l’ordine di prodotti e servizi verso le varie funzioni dell’impresa. Le tecnologie che si stanno affermando, anche grazie alla diffusione di mobile app, garantiranno maggiore personalizzazione e risparmi in termini di tempi e costi. Ritengo comunque che sia ancora presto per poter dire con certezza quali applicazioni si affermeranno sul mercato e quali soluzioni tecniche e funzionali diverranno uno standard. La sfida per le aziende del settore consisterà nel cogliere le potenzialità dei modelli e delle tecnologie digitali con una visione strategica complessiva. Sarà importante riuscire a disegnare processi produttivi in modo integrato, che sfruttino appieno le soluzioni tecnologiche oggi disponibili.

8) Potete descriverci qualche caso applicativo di successo?

Attualmente abbiamo focalizzato la nostra attenzione nel campo medico, poiché l’elevata concorrenza che caratterizza il mercato dei dispositivi medici richiede un livello superiore di assistenza a costi decisamente inferiori. Intellisystem Technologies ha messo a punto una soluzione per la realizzazione di economie di scala di pari passo con la crescita aziendale, nonché la possibilità di fornire i servizi a valore aggiunto necessari per battere la concorrenza. La soluzione ha consentito a un nostro cliente di espandere significativamente l’offerta di servizi, riducendo al tempo stesso i costi interni di gestione. I vantaggi aggiuntivi hanno incluso: connessioni in tempo reale dirette per la distribuzione di applicazioni di supporto di prossima generazione; assistenza e rapida risoluzione dei problemi grazie alla migliore collaborazione, nonché ai dati ottenuti direttamente dai sistemi remoti; possibilità di iterare rapidamente le applicazioni a valore aggiunto per sfruttare le mutevoli richieste del mercato e dei clienti. L’approccio unificato e semplificato alle applicazioni IoT di Intellisystem Technologies ha permesso al cliente di innovare in modo iterativo i processi aziendali con maggiore rapidità rispetto ai metodi convenzionali e agli strumenti ‘legacy’. Di conseguenza, egli ha ottenuto di: ottimizzare e migliorare di 5-10 volte l’utilizzo del team interno di sviluppo delle applicazioni; migliorare i tempi di attività delle apparecchiature grazie a tempi di risposta decisionale più rapidi; migliorare l’utilizzo della manodopera grazie a un ambiente di sviluppo e scambio delle informazioni più collaborativo e affidabile.

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Tavola Rotonda – Fieldbus & Networks N. 86 (Febbraio 2016), pubblicata da Cristina Paveri.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista, seguire il link riportato di seguito http://www.intellisystem.it/portfolio/fn-febbraio-2016-2/

AO Gennaio-Febbraio 2015 - Il mercato dell'ICT - Intellisystem Technologies

Il mercato dell’ICT

L’annuale rapporto sull’ICT stilato da Assintel e Nextvalue fotografa un mercato statico e ancora ‘in ritardo’: occorre far ripartire la ‘macchina’ e ‘digitalizzare’ il Paese. Ma vediamo il parere di alcuni esperti del settore

Con Cristian Randieri, Ph.D., president e CEO di Intellisystem Technologies; Andrea Massari, country manager di Avnet Technology Solutions Italia; Filippo Ligresti, country manager di Dell Italia; Edoardo Albizzati, country manager di Exclusive Networks Italy.

L’analisi di un mercato deve partire dai suoi numeri e i dati che citiamo provengono da una fonte autorevole: Assintel (www. assintel.it), l’associazione nazionale delle imprese ICT, che ha recentemente realizzato l’annuale report, in collaborazione con Nextvalue (www.nextvalue.it). Il mercato che ne emerge è statico e la necessità è quella di far ripartire la ‘macchina’ per favorire davvero il Paese in senso digitale. Entrando nello specifi co, il valore del mercato italiano dell’ICT ha raggiunto i 24,3 miliardi di euro nel 2014, crescendo appena dello 0,7% sull’anno precedente. La crescita è visibile solo nei settori più innovativi e connessi alla ‘mutazione digitale’, per esempio il cloud computing. Per esso la spesa è cresciuta in un anno del 22%, risultato della somma della componente classica (+33%) e di quella di ‘business process as a service’ (+13%). L’hardware, per contro, continua a recedere (-1,6%) trascinato dal declino dei PC solo in parte controbilanciato dalla crescita di smartphone (+9,3%) e tablet (+5%). Interessante anche l’analisi della provenienza degli investimenti. Tutti i segmenti di mercato legati alla spesa pubblica in ICT continuano a calare, innescando forti dinamiche di downpricing a svantaggio dei vendor. Nel dettaglio, la spesa della pubblica amministrazione centrale si è contratta del 4,1%, quella degli enti locali del 3,9% e quella della sanità del 3,1%, mentre più contenuti sono stati i ribassi del commercio (-1,65) e dell’industria (-0,2%). In ogni caso, nulla di eccitante se si attendono segnali di ripresa dell’economia. Chi sembra invece tornare a investire sono i tradizionali ‘big spender’: le banche con un +3,2%, le assicurazioni (+3,1), le telecomunicazioni (+3,3%) e le utility (+4,4%). In lieve ripresa anche gli investimenti in ICT delle grandi aziende (+0,8%), mentre restano negativi quelli di piccole (-3,4%) e micro imprese (-2,3%). Una rifl essione è d’obbligo… Incrementare il mercato dell’ICT per crescere nel ventunesimo secolo è obbligatorio, ma è evidente la carenza culturale. Il nostro Paese ha realizzato il boom del dopoguerra basandosi sulla lotta all’analfabetismo. Un segno di sviluppo di quei tempi fu la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi” con il Maestro Manzi. Oggi noi abbiamo bisogno del ‘Maestro Manzi digitale’, per far capire a quella buona metà del Paese che ‘non è mai troppo tardi’ per digitalizzarsi. Investire nella cultura digitale (e in parallelo nella digitalizzazione dei servizi della PA) signifi – cherebbe non soltanto rivitalizzare un mercato, ma anche contribuire all’emancipazione (digitale) del Paese. Abbiamo voluto coinvolgere primari attori del mercato ICT ponendo loro qualche domanda che toccasse un po’ tutti gli aspetti più attuali e prospettici del mercato. A loro la parola, con la certezza che anche loro sono convinti che “Non è mai troppo tardi”.

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Di seguito riportiamo l’estratto dell’articolo riguardante le risposte date da parte del nostro Presidente e CEO Cristian Randieri

1)  L’accordo IBM-Apple sembra rivoluzionare il mondo del ‘mobile’ dedicato all’industria. Come vede l’evoluzione del manifatturiero verso il mondo iOS? La collaborazione tra questi due ‘giganti’ rappresenta un pericolo o un’opportunità?

L’accordo IBM-Apple nasce dalle mutue esigenze di espandere i rispettivi mercati. Poiché ognuna delle due aziende non invade il mercato dell’altra, un’alleanza era più che prevedibile. Dalla letteratura ufficiale sull’accordo si evince l’offerta di decine di soluzioni business specifiche per settore, app native, servizi cloud, una nuova offerta di assistenza e supporto su misura per le esigenze dei clienti business. Mi sembra che sia un tentativo di dominare il mercato della mobilità aziendale attraverso la creazione di un player tecnologico di riferimento. Credo che l’attenzione dei dipartimenti IT si stia spostando sempre più dai device alle app, data una marcata standardizzazione dei device stessi. Vedo come principale il problema dell’integrazione dei device e app mobili con l’infrastruttura aziendale e il parco applicativo già esistente. Detto questo, mi sembra che l’unione, in definitiva, sia un vantaggio reciproco per i due colossi, anche nell’ottica di una maggiore adozione di politiche Byod (Bring your own device) e data anche la diffusione di apparecchi Apple. Fatte queste premesse per le aziende come la mia penso si profilino due opzioni. La prima è quella di accettare l’alleanza ampliando la propria offerta e, ove possibile, integrandosi con le loro soluzioni. La seconda è quella di continuare per la propria strada rischiando di perdere sempre più quote di mercato. In conclusione, penso che la soluzione migliore sia una via di mezzo, ovvero sfruttare il loro canale specializzandosi in applicativi e hardware che siano progettati in modo verticale sui loro device e applicativi. Certamente è più facile a dirsi che a farsi. Occorrono investimenti per poter lavorare con le nuove piattaforme e i relativi standard, che di fatto sono proprietari. A ben vedere ci sarebbe anche l’opzione dell’attesa delle contromosse della concorrenza di IBM e Apple. Com’è noto la competizione porta vantaggi al mercato.

2)  Il cloud si fa sempre più strada nell’industria, oltre che nel privato. Oggi lo storage nella ‘nuvola’ porta a una rivoluzione dell’organizzazione lavorativa e dei modelli di business. È lampante però il problema della sicurezza. La sua azienda come vede questo problema? Pensa che le decisioni relative alla sicurezza informatica del cloud siano appannaggio del settore IT o che le business line operative debbano avere voce in capitolo?

Nonostante il cloud computing sia oggi parte integrante della vita digitale di quasi tutti gli utenti della rete, è la sicurezza l’argomento che ne fa dibattere l’utilizzo, soprattutto in azienda. Dai dati di F-Secure, emersi nella ricerca “Digital Company Survey 2013”, si evince che la sicurezza dei dati resta la preoccupazione principale che ostacola l’adozione di questi servizi da parte delle aziende. Il 45% delle realtà intervistate non usa il cloud per motivi di sicurezza. Sono le imprese con dai 50 ai 500 dipendenti le più scettiche nell’adozione delle tecnologie cloud, ritenute anche costose e poco performanti. Secondo il mio parere, il cloud computing è tutt’altro che insicuro, a condizione di studiare attentamente la soluzione da adottare. Il rischio più grande non è propriamente intrinseco all’offerta delle soluzioni cloud aziendali, ma deriva dal fatto che le aziende non sono capaci di fornire ai propri dipendenti un servizio online semplice e chiaro. Il dipendente non supportato nelle nuove tecnologie finirà per utilizzare il proprio account e le applicazioni personali al di fuori del controllo aziendale. Sicuramente questo rappresenta un rischio ben maggiore per la sicurezza dei dati. In conclusione, penso sia opportuna un’attenta e mirata opera di formazione in merito alla scelta e all’utilizzo del cloud in azienda.

3)  I ‘Big Data’ sono un argomento di grande attualità. Qual è la sua visione in merito? Quali sono le nuove frontiere analitiche di questa ‘miniera’? Come potrebbero gli advanced analytics influenzare il mercato dell’automazione e il mondo della produzione industriale?

Le sfide che si affrontano con i Big Data sono varie, ma forse la più importante è la comprensione del significato che essi possono assumere per le aziende. Essi consentono una visione illimitata di ciò che potrebbe essere il futuro. L’adozione a livello aziendale esige che la soluzione dei Big Data possa adeguarsi senza problemi alla struttura IT già esistente. I dati macchina ottenuti costituiscono la più recente e copiosa fonte di informazione. Per ottenere i vantaggi della Internet of Things sono essenziali un’estrema scalabilità, una gestione degli eventi in tempo reale e un abbassamento del time-to-vision. L’utilizzo e l’analisi dei Big Data consente alle aziende di creare e applicare modelli predittivi per raggiungere rapidamente gli obiettivi di performance aziendali prefissati. Concretamente, nel caso del mercato dell’automazione, si potrebbe immaginare un mondo in cui i sistemi intelligenti, Internet of Things, sensori e robotica si combinino per automatizzare le grandi aree di produzione, davvero lo ‘smart manufacturing’. Realizzare tutte le potenzialità della produzione con l’utilizzo dei Big Data è, al momento, qualcosa di davvero avveniristico. Dipendere dai Big Data potrebbe rappresentare la quarta rivoluzione industriale.

4)  La stampa 3D è una nuova frontiera dell’ICT che impatta direttamente sulla produzione. Che futuro vede per questa tecnologia?

Le potenzialità delle nuove tecnologie basate sulla stampa 3D sono sempre più al centro dell’attenzione di produttori e consumatori accompagnate da previsioni di molti venture capitaliste di società di ricerche. Si è provato a stimare, anche in termini economici, quale sarà il futuro della stampa 3D. Canalys, per esempio, prevede che il mercato globale della stampa 3D crescerà da 2,5 miliardi di dollari nel 2013 a 16,2 miliardi entro il 2018. È chiaramente troppo presto per sostenere che la manifattura additiva avrà la forza per sostituire i tradizionali processi produttivi. Sicuramente esistono vantaggi per grandi e piccole aziende: macchinari meno costosi, sostegno alla competitività di aziende artigiane iperspecializzate, condivisione di processi di design (crowd-design) e di ricerca di servizi (crowd-sourcing), allargamento della competizione anche alle piccole aziende, diffusione di un modello di lavorazione e commerciale digitale (si vendono file di lavorazione). Sono convinto che la stampa 3D avrà un notevole impatto sull’accorciamento delle supply-chain. Stampare in tre dimensioni i dati contenuti in un file di progettazione ha implicazioni importanti sulle logiche degli attuali sistemi di gestione logistica. È ipotizzabile che le grandi fabbriche possano essere sostituite da laboratori eco-sostenibili per la produzione di serie limitate e personalizzate di piccoli manufatti. La stampa 3D permette inoltre l’utilizzo di materiali innovativi e geometrie produttive molto complesse non riproducibili con lo stesso livello di precisione in un processo di assemblaggio.

5)  Parliamo di Agenda Digitale. Il problema infrastrutturale in Italia è ancora irrisolto. Diventi per un secondo il Presidente del Consiglio: qual è la sua ricetta per invertire il trend e avviare lo sviluppo digitale dando corpo e respiro non solo al mercato ICT, ma a tutto il mondo produttivo del Paese?

Il tema dell’Agenda Digitale è davvero da ‘allarme rosso’. La sua implementazione doveva essere una delle principali leve per lo sviluppo e la modernizzazione del Paese. Avrebbe dovuto consentire all’Italia il recupero del gap che da anni la separa dalle nazioni più virtuose nell’adozione dell’ICT. Purtroppo l’innovazione è frenata dalla burocrazia e sono impressionanti i ritardi accumulati dal Governo nell’adozione dei provvedimenti attuativi. Alla PA è impedita la transizione al digitale, i cittadini e le imprese non hanno a disposizione strumenti per un rapporto telematico con la PA, le imprese dell’ICT non possono investire per una cronica incertezza su standard e regole tecniche. Il ritardo nell’attuazione dell’Agenda Digitale è riconducibile anche all’evidente scarsa importanza che questi temi rivestono per il Governo. Dunque la mia ricetta: non servono nuove norme, bisogna applicare, presto e bene, quelle che ci sono già. Realizzare l’Agenda Digitale dovrebbe significare riorganizzare integralmente le PA, per ridurne i costi e per trasformarle da freno all’economia a strumento di promozione dello sviluppo. Operare a livello culturale sugli utilizzatori, imprese o cittadini che siano, per creare il giusto bacino d’utenza dei servizi che in parallelo devono essere messi a disposizione. Occorre creare dei tavoli di lavoro su progetti quadro da suddividere in sottogruppi operativi. La mia idea è quella di strutturare una governance informata e partecipata, di creare un luogo di riferimento per i funzionari della PA, soprattutto locale, che vogliano esporre i loro progetti e trovare modelli strutturali adeguati alle loro esigenze. Occorre rivoluzionare il metodo di lavoro finora applicato, serve innanzitutto definire un sistema di misurazione dei risultati dell’Agenda Digitale per poi individuare gli obiettivi e con essi la strategia globale da adottare. Si tratta di un metodo che avrebbe misuratori qualitativi e quantitativi in base ai quali elaborare le scelte più adeguate per il Paese.

Tavola Rotonda – Automazione Oggi N. 378 (Gennaio/Febbraio 2015) a cura di Vitaliano Vitale.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista seguire il link riportato di seguito  http://www.intellisystem.it/portfolio/ao-gennaiofebbraio-2015-1/

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