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(Italian) Cloud Computing: i pro e i contro
AO Luglio-Agosto 2015 Tavola Rotonda Cloud Computing - Intellisystem Technologies

(Italian) Cloud Computing: i pro e i contro

Esperti del settore provano a dare indicazioni utili per l’utilizzo consapevole del cloud computing    

Tutti parlano di cloud ma non tutti sanno esattamente quali sono i pro e i contro della nuvola. Abbiamo provato a chiederlo a esperti come Paolo Colombo, european strategic programs manager di Ansys, Bruno Pierro, service creation and cloud leader di Cisco Italia, Cristian Randieri, presidente e CEO di Intellisystem Technologies e Francesco Tieghi, responsabile digital marketing di ServiTecno. Vediamo cosa hanno risposto.

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Di seguito riportiamo l’estratto dell’articolo riguardante le risposte date da parte del nostro Presidente e CEO Cristian Randieri

1)   Parliamo di cloud computing: cloud pubbliche e cloud private. Quale la differenza? 

Il cloud pubblico prevede la fornitura di servizi cloud a molteplici clienti in un ambiente virtualizzato, basato su un’unica infrastruttura condivisa di risorse fisiche accessibili tramite una rete pubblica come Internet. In un certo senso si contrappone alla definizione di cloud privato, che delimita il bacino di risorse di computing sottostanti, creando una piattaforma cloud distinta a cui può accedere solo un’unica organizzazione. In realtà la distinzione non è proprio così netta tant’è vero che esistono pure i cloud ibridi. Sono una nuova formulazione di cloud che sfruttano i cloud sia privati sia pubblici per svolgere funzioni distinte all’interno della stessa organizzazione. I cloud ibridi nascono dall’esigenza delle varie organizzazioni di incrementare la propria efficienza utilizzando servizi cloud pubblici per tutte le operazioni non sensibili e affidarsi al cloud privato esclusivamente in caso di necessità, facendo in modo che tutte le piattaforme siano perfettamente integrate tra loro. Esistono diversi modelli di cloud ibridi che possono essere applicati in svariati modi: modello integrato, diversi cloud provider collaborano per fornire servizi sia privati che pubblici; modello ibrido completo, singoli cloud provider offrono un pacchetto ibrido completo; modello misto, organizzazioni che gestiscono autonomamente i propri cloud privati utilizzando e integrando nella propria infrastruttura un servizio di cloud pubblico. In un esempio pratico si potrebbe pensare a un’azienda che adotti il cloud hosting ibrido per ospitare il proprio sito web di e-commerce all’interno di un cloud privato, più sicuro e scalabile, adottando invece un cloud pubblico per ospitare il sito vetrina a favore di un maggiore risparmio economico. Infine esiste anche il community cloud in cui l’infrastruttura su cui sono installati i servizi cloud è condivisa da un insieme di soggetti, aziende e organizzazioni, che condividono le stesse esigenze e hanno uno scopo comune, come ad esempio potrebbero essere i vari soggetti della pubblica amministrazione. L’infrastruttura può essere gestita dalla comunità stessa, oppure da un fornitore di servizi esterno.

2)   Quali sono le componenti di questa nuova tecnologia?

Utilizziamo come riferimento la definizione di cloud computing proposta dal National Institute of Standards and Technology (Nist) possiamo individuare in modo chiaro le componenti che identificano questa tecnologia. Server: i server fisici forniscono macchine ‘host’ per più virtual machine (VM) o guest. Un hypervisor in esecuzione sul server fisico assegna dinamicamente le risorse host (CPU, memoria) a ciascuna macchina virtuale. Virtualizzazione: le tecnologie di virtualizzazione traspongono elementi fisici e posizione su un piano astratto. Le risorse IT (server, applicazioni, desktop, storage e networking) sono svincolate dai dispositivi fisici e sono presentate come risorse logiche. Storage: storage – SAN, NAS (Network Attached Storage) e i sistemi unificati forniscono lo storage per blocchi di dati e dati di file primari, per l’archiviazione dei dati, per le funzioni di backup e per la prosecuzione dell’attività aziendale. I componenti avanzati del software di storage vengono utilizzati per big data, replica dei dati, spostamento di dati tra cloud e high availability. Rete: consente di cambiare i server fisici di interconnessione e lo storage. I router forniscono la connettività LAN e WAN. Altri componenti di rete forniscono la protezione mediante firewall e il bilanciamento di carico del traffico. Gestione: la gestione dell’infrastruttura cloud comprende organizzazione delle azioni server, rete e storage, gestione della configurazione, monitoraggio delle prestazioni, gestione delle risorse di storage e misurazione dell’utilizzo. Sicurezza: i componenti garantiscono la sicurezza delle informazioni e l’integrità dei dati, soddisfano i requisiti di conformità e riservatezza, gestiscono i rischi e forniscono la governance. Backup e ripristino: viene eseguito il backup automatico su disco o nastro di server virtuali, NAS e desktop virtuali. Gli elementi avanzati forniscono protezione continua, più punti di ripristino, deduplica dei dati e disaster recovery. Sistemi di infrastruttura: il software e l’hardware pre-integrati, come i sistemi di backup completo con la piattaforme di deduplica e premontate in rack contenenti server, hypervisor, rete e storage, semplificano l’implementazione dell’infrastruttura cloud e ne riducono ulteriormente la complessità.

3)   Perché riscuote così tanto successo?

Perché a causa dei complessi processi legati all’acquisizione delle componenti infrastrutturali (server, storage, terminali ecc.) e dei relativi tempi di realizzazione e di integrazione, il mantenimento di una infrastruttura informatica adeguata e aggiornata rappresenta una delle principali criticità per le PMI e le pubbliche amministrazioni. In altre parole le chiavi di successo sono 6. Self-service su richiesta: un cliente può richiedere risorse computazionali senza richiedere un intervento umano dei fornitori dei servizi stessi. Tutto questo grazie alla virtualizzazione, ovvero, un insieme di tecnologie che permette di condividere i server e lo storage, di aumentarne radicalmente il tasso di utilizzo e di spostare facilmente le applicazioni da un server fisico a un altro. Accesso a banda larga: le risorse sono raggiungibili tramite la rete, la cui banda deve essere adeguata all’uso specifico richiesto compatibilmente alle piattaforme client adottate (ad esempio telefoni cellulari, computer portatili, o computer palmari). Risorse comuni: le risorse di calcolo del fornitore cloud vengono organizzate utilizzando il modello ‘multi-tenant’, in cui le risorse fisiche e virtuali sono assegnate dinamicamente a seconda della richiesta dei clienti indipendentemente dalla loro locazione fisica. Elasticità: le risorse possono essere fornite e rilasciate rapidamente in modo elastico, per modulare velocemente la capacità computazionale dando all’utente l’idea di avere delle risorse disponibili in qualsiasi quantità e in qualsiasi momento. Servizi monitorati: i sistemi cloud controllano e ottimizzano automaticamente l’utilizzo delle risorse, sfruttando la capacità di misurarne l’utilizzo da parte dell’utente. Ciò è molto importante per permettere al fornitore di reagire a eventuali picchi di richiesta allo scopo di garantire al cliente la QoS contrattualizzata. Pay per use: l’utente paga solamente in base all’effettivo sfruttamento delle risorse. Questa caratteristica permette all’utente un notevole risparmio sulle risorse IT, in quanto può ridurre la quantità di risorse elaborative presenti presso le sue strutture e conseguentemente il personale per la loro gestione, trasferendo al fornitore di servizi il rischio di inutilizzo delle stesse.

4)   Come un’azienda può valutare i diversi modelli di servizio? Può un’azienda provare i vari servizi offerti? E come può riconoscere la soluzione giusta per lei?

Prima di optare per l’adozione di servizi di cloud computing, configurandone la migliore soluzione, è opportuno che l’azienda verifichi la quantità e la tipologia di dati che intende esternalizzare (es. dati personali identificativi o meno, dati ecc.). È di primaria importanza valutare gli eventuali rischi e le possibili conseguenze derivanti da tale scelta sotto il profilo della riservatezza e della loro rilevanza nel normale svolgimento della propria attività. Tale analisi valutativa dovrà evidenziare l’opportunità o meno di ricorrere a servizi cloud (limitandone l’uso ad esempio a determinati tipi di dati), nonché l’impatto sull’utente in termini economici e organizzativi, l’indisponibilità, pur se parziale o per periodi limitati, dei dati esternalizzati o, peggio, la loro perdita o cancellazione. Successivamente occorre documentarsi su quali siano i modelli di servizio cloud più comunemente offerti dai provider, ovvero: SaaS (Software as a Service) che indica qualsiasi servizio cloud tramite il quale i consumatori possono accedere ad applicazioni software tramite Internet. Le applicazioni ospitate su cloud possono essere utilizzate per una vasta gamma di attività, sia da individui che da organizzazioni. Alcuni esempi di SaaS sono di fatto realtà come Google, Twitter e Facebook. PaaS (Platform as a Service), categoria di cloud computing che fornisce agli sviluppatori una piattaforma e un ambiente per costruire applicazioni e servizi su Internet per cui gli utenti accedono ai propri servizi tramite il proprio browser web. IaaS (Infrastructure as a Service), dove la risorsa cloud è un’infrastruttura di elaborazione ovvero un hardware virtualizzato. In questa categoria ricadono servizi come ad esempio: lo spazio virtuale su server, connessioni di rete, larghezza di banda, indirizzi IP e bilanciatori di carico. Il cliente mediante le componenti virtualizzate costruisce le proprie piattaforme IT. A questo punto dopo una prima analisi e la scelta del servizio più adatto alle proprie esigenze si può pensare di iniziare a fare un’analisi di mercato per la scelta del provider più adatto. Personalmente penso che anziché provare diversi servizi alla ricerca del migliore sia più vantaggioso fare un’analisi e quindi una progettazione a monte per individuare a priori la soluzione più adatta alle proprie esigenze.

5)   I dati, si sa, sono la linfa vitale delle aziende e molti sono sensibili. Dove vengono, normalmente, archiviati? Quali i rischi? Come si possono riavere se si decide di cambiare provider?

Nel corso della nostra attività abbiamo constatato un quadro, è a dir poco disastroso. Purtroppo la maggioranza delle PMI, tranne quelle che operano nel settore ICT, non riesce nemmeno a percepire il possibile danno dovuto dalla perdita accidentale dei dati se non quando vissuto in prima persona. In molte delle PMI non esistono nemmeno dei server, al massimo ci si limita a un PC di prestazioni più elevate che condivide il proprio HD in rete. Le aziende leggermente più evolute adoperano i NAS, che solitamente sono di tipo consumer per il contenimento dei costi, ignorando che seppur avendo una ridondanza dei dati in termini di HD non hanno alcuna ridondanza a livello hardware del NAS stesso. In questo caso il rischio più grosso consiste quando questo si danneggia poiché è necessario provvedere al recupero dei dati dalla configurazione Raid dei dischi supportati causando di fatto una sospensione della normale operatività dell’azienda con danni sicuramente non indifferenti per l’azienda stessa. Per riavere i dati diciamo che tutto dipende da come è stato selezionato il fornitore di servizi cloud, se questi è conforme agli standard e alle altre caratteristiche tecnologiche che garantiscano portabilità e interoperabilità dei servizi erogati. Occorre sempre richiedere al fornitore di servizi cloud la garanzia che i servizi cloud possano essere trasferiti su piattaforme di fornitori differenti o che possano essere riportati all’interno dell’organizzazione cliente con il minimo di impatto, evitando il rischio di legarsi a un unico cloud provider ‘vendor lock-in’. I requisiti di portabilità devono essere realizzati attraverso l’adozione di standard di portabilità per il cloud che sono: per la portabilità dei dati il Cloud Data Management Interface (Cdmi), in grado di definire le tipologie di interfacce che le applicazioni dovranno usare per creare, recuperare, modificare e cancellare i data element su un cloud; per la portabilità dei sistemi l’Open Virtualization Format (OVF), che definisce lo standard per la creazione e la distribuzione delle macchine virtuali.

6)   Come si valutano i fornitori?

Sicuramente la regola base è quella che prevede la selezione del fornitore più adeguato, quello cioè in grado di dimostrare la propria capacità di fornire competenze, processi e risorse che siano superiori a quelli interni. Ecco alcune regole da seguire dettate dalla nostra esperienza. Accertare l’affidabilità del fornitore prima di migrare sui sistemi virtuali i propri dati più importanti, la quantità e la tipologia delle informazioni che intendono allocare nella cloud, i rischi e le misure di sicurezza. Valutare la stabilità societaria del fornitore, le referenze, le garanzie offerte in ordine alla confidenzialità dei dati e alle misure adottate per garantire la continuità operativa a fronte di eventuali e imprevisti malfunzionamenti. Valutare le caratteristiche qualitative dei servizi di connettività di cui si avvale il fornitore in termini di capacità e affidabilità; ovvero l’impiego di personale qualificato, l’adeguatezza delle infrastrutture informatiche e di comunicazione, dalla disponibilità ad assumersi responsabilità previste dal contratto di servizio derivanti da eventuali falle nel sistema di sicurezza o a seguito di interruzioni inattese di servizio. Privilegiare i servizi che favoriscono la portabilità dei dati: è consigliabile ricorrere a servizi di cloud computing nelle modalità SaaS, PaaS o IaaS in un’ottica di servizi basati su formati e standard aperti, che facilitino la transizione da un sistema cloud a un altro, anche se gestiti da fornitori diversi. Informarsi su dove risiederanno concretamente i dati: sapere in quale Stato risiedono fisicamente i server sui quali vengono allocati i dati è determinate per stabilire la giurisdizione e la legge applicabile nel caso di controversie tra l’utente e il fornitore del servizio. Ciò potrebbe rappresentare una limitazione per l’autorità giudiziaria nazionale nel dare esecuzione a ordini di esibizione, di accesso o di sequestro, ove sussistano i presupposti. Fare attenzione alle clausole contrattuali. Una corretta e oculata gestione contrattuale supporta sia l’utente, sia il fornitore nella definizione delle modalità operative e dei parametri di valutazione del servizio, oltre a individuare i parametri di sicurezza necessari per la tipologia di attività gestita.

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Tavola Rotonda – Automazione Oggi N. 383 (Luglio/Agosto 2015), pubblicata da Antonella Cattaneo.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista seguire il link riportato di seguito  http://www.intellisystem.it/portfolio/ao-luglioagosto-2015-2/

AO Aprile 2015 - Tavola Rotonda Open Source - Intellisystem Technologies

(Italian) Servizi professionali e prodotti Open Source

Servizio professionale e prodotti open source: quale offerta per l’impresa e quali i vantaggi. Ne parliamo con le aziende 

Con Cristian Randieri, president & CEO di Intellisytem Technologies; Andrea Ceiner, group product marketing manager m2m/IoT di Eurotech; Italo Vignoli, presidente onorario di LibreItalia; Danilo Maggi, marketing manager di Red Hat Italy.

Uno tra gli aspetti più interessanti che si sono sviluppati in parallelo (soprattutto grazie) allo sviluppo tecnologico, iniziato più di vent’anni, e la filosofia dell’Open Source. Dal punto di vista dell’utilizzatore finale dei moltissimi e differenti dispositivi tecnologici, probabilmente non sempre e ben chiaro cosa si nasconde dietro a concetti Open Source, Free Software, Creative Commons. Grazie a questa tavola rotonda, coordinata da un ‘non-esperto’ ma partecipata da esperti del mondo open source, vorremo fare chiarezza anche in vista dei prossimi obiettivi che l’innovazione tecnologica ci sta prospettando, primo tra tutti l’Internet of Thing.

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Di seguito riportiamo l’estratto dell’articolo riguardante le risposte date da parte del nostro Presidente e CEO Cristian Randieri

1)  Open Source è sinonimo di libero scambio che, almeno dal punto di vista della definizione, non dovrebbe portare a un guadagno economico diretto da parte di chi lo produce soprattutto quando si tratta di un nuovo progetto. Qual è il punto di vista e come si pone una società che produce e realizza i propri margini proprio sulla commercializzazione diretta o indiretta di questi prodotti?

E’ opinione pressochè comune che il software open source rappresenti il futuro dell’ICT. Purtroppo in Italia intorno all’open source c’è ancora molta diffidenza, dovuta molto probabilmente alla mancanza di una corretta informazione su cosa s’intenda per Open Source e in che modo questi può aiutare un’azienda a crescere. Per approcciarsi correttamente al mondo open source bisognerebbe prima capire cosa s’intende con questo termine. Considerando la definizione data da Wikipedia ‘open source indica un software i cui autori (più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono, anzi ne favoriscono il libero studio e l’apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti’. Attenzione pero che open source non vuol dire gratis, o almeno non necessariamente ‘open source’. Nel corso degli ultimi anni il mondo delle soluzioni open source ha subito una notevole evoluzione passando dal mondo universitario a quello commerciale sino a rispondere a esigenze di tipo enterprice capaci di affiancare agli storici vantaggi in termini di ‘costi’ e possibilità di sviluppo, anche caratteristiche di robustezza, affidabilità e garanzia di continuità operativa. Anche il ‘modello di business’ del mondo open source si e evoluto, acquisendo regole, definendo processi e modalità di erogazione del servizio. Proprio questo consente oggi alle aziende che operano come integratori o sviluppatori di tali soluzioni di valorizzare il proprio business e proporsi al mercato con un’off erta alternativa attraverso la quale si possono garantire vantaggi con l’utilizzo di tali soluzioni, mantenendo il modello del mondo open source e ottenendo ritorni economici. Una società che basa la propria attività sull’open source sicuramente e in grado di offrire una valida alternativa ai tradizionali sistemi ‘proprietari’, sia per realizzare infrastrutture ICT, sia per implementare applicazioni di business.

2)   In genere si pensa ai prodotti open Source come poco userfriendly o con limitazioni nell’uso al pari di un prodotto commerciale analogo, limitandone l’utilizzo solo ai più esperti; l’evoluzione tecnologica e di conoscenze ha cambiato o sta ampliando il tipo e quindi il numero di utilizzatori?

Negli ultimi anni a livello internazionale le limitazioni d’uso di un prodotto open source rispetto a un prodotto commerciale stanno diminuendo sempre più e in alcuni casi addirittura l’open source riesce a fare molto di più, si pensi ad esempio alla piattaforma Apache-MySql che di fatto oggi copre il 70% del mercato. Non dimentichiamo che la soluzione open source e scelta anche da grandi colossi come ad esempio la tecnologia Java, supportata da IBM, Sun, Oracle, offrendo un esteso patrimonio di framework, librerie e soluzioni. Purtroppo lo scenario nel nostro Paese cambia di molto. Secondo un’indagine Istat in Italia solo il 12,2% imprese adotta tecnologie open source; di cui il 38,7% e rappresentato delle aziende aventi oltre 250 addetti. Quindi assistiamo all’apparente paradosso che il software libero e poco presente proprio nelle piccole-medie imprese che avrebbero i massimi benefici dalla sua introduzione, in primis di carattere economico. Purtroppo alla base di tutto c’è un problema di conoscenza e formazione. Molte di queste piccole realtà non hanno al loro interno competenze informatiche adeguate e ricorrono quasi totalmente a consulenti esterni che per la maggior parte delle volte hanno più interesse a far acquistare pacchetti software chiusi soggetti a licenza. In più le software-house che propongono le soluzioni open source sono poco visibili. Un po’ perchè sono troppo piccole per farsi pubblicità e un po’ perchè spesso quelle più grandi non si propongono come fornitrici di software libero perchè hanno più convenienza a ‘incorporarlo’ nelle loro soluzioni proprietarie. Italo Vignoli: I software open source sono spesso superiori, in termini di funzionalità, rispetto ai loro equivalenti proprietari. Basta pensare al browser Mozilla Firefox, superiore a Internet Explorer; al sistema di posta elettronica Mozilla Thunderbird, superiore a Microsoft Outlook; e al media player VLC, superiore a Windows Media Player. In tutti questi casi, nonostante lo strapotere di Microsoft, i software open source sono molto diffusi, e in alcuni casi hanno quote di mercato più ampie. Certo, in alcuni casi l’interfaccia dei prodotti open source e meno appariscente, in quanto si basa sui principi dell’ergonomia e non su quelli del marketing, per cui c’è la sensazione che sia anche meno efficace, ma tutte le ricerche indipendenti dimostrano che non e vero. Tra l’altro, oggi anche i sistemi operativi open source sono diventati facili da utilizzare anche per gli utenti di base, come nel caso di Ubuntu, che e simile a Windows per caratteristiche e funzionalità ma infinitamente superiore in termini di sicurezza e stabilità.

3)  Open Source può essere inteso come l’opposto del copyright, in qualità di aziende che hanno accumulato anni di esperienze e competenze specifiche nel proprio settore, vedete nella condivisione libera di (alcune) conoscenze una minaccia nel perdere quote a favore dei propri diretti competitor oppure viene vista come una nuova opportunità di crescita per un’evoluzione dei propri prodotti/servizi molto più rapida a favore dei propri clienti?

Indubbiamente l’open source nel tempo ha portato radicali cambiamenti nel mondo dell’informatica. Del resto, come di tutti i prodotti dell’ingegno umano l’evoluzione del software ha bisogno di conoscenza, e più questa e facile da reperire e da riutilizzare, più i prodotti si evolveranno e miglioreranno sulla base dei fallimenti e dei successi precedenti secondo la tecnica base della programmazione definita ‘trial and error’. Sono convinto che senza open source il mondo dell’informatica sarebbe rimasto una semplice moderna disciplina in grado di seguire le medesime regole che governano gli altri settori industriali in cui la conoscenza rimane nelle aziende che lo producono e gli sviluppatori, anche cambiando azienda, non potevano riutilizzare il codice tutelato dal Copyright. Di contro i prodotti open source non sempre rappresentano la panacea per l’utente finale, in quanto essendo sviluppato in modo libero e spesse volte non strutturato si rischia di trovarsi nelle mani un software che risulta essere non più aggiornato o peggio abbandonato. Per far fronte a questo problema sono nate le cosidette community che nella giungla dell’open source provano a dettare regole per garantire l’esistenza e la continuità dei progetti. Un’azienda che decide di lavorare con l’open source affronta diverse sfide quali fare concorrenza ai colossi assumendosi delle responsabilità verso i sui clienti, il tutto a vantaggio di una personalizzazione dei prodotti. Molte aziende startup nascono proprio da progetti open source. Del resto la collaborazione di più parti (in genere libera e spontanea) permette al prodotto finale di raggiungere una complessità notevolmente maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di lavoro. L’open source ha tratto grande beneficio da Internet grazie al quale i programmatori geograficamente distanti possono coordinarsi e lavorare allo stesso progetto.

4)  Nel caso si condivida la filosofi a dell’open source, ritenete che oltre a un miglioramento delle caratteristiche dei propri prodotti/servizi si può pensare anche a una reale riduzione dei costi a favore degli utilizzatori finali?

Per quanto riguarda i vantaggi economici derivanti dall’adozione di un software open source la loro entità e variabile. Dipende infatti da quanto lavoro di configurazione e di personalizzazione deve essere fatto sul software-base. Nel caso di programmi che possono essere scaricati gratuitamente e immediatamente installati sul PC (come ad esempio Open Office) il risparmio e sicuramente del 100% in termini di licenze. In tanti altri casi (come ad esempio per le applicazioni lato server) sono richiesti interventi di configurazione e di personalizzazione. Questo e tanto più vero quanto più un programma e verticale, cioè specifico di un certo settore o filiera produttiva. Anche in questo caso si possono constatare risparmi che variano dal 30 al 50% rispetto a un software soggetto a licenza. Ma anche nei casi in cui il lavoro di personalizzazione di un software open source e particolarmente significativo, bisogna sottolineare che una volta personalizzato e installato il programma rimane nel pieno possesso dell’azienda. Questo significa svincolarsi di fatto dal fornitore iniziale.

5)  Nella vostra offerta verso i clienti finali ci sono o state prevedendo prodotti open source? Oppure partecipate attivamente allo sviluppo di soluzioni open source per realizzare i prodotti che poi immettete sul mercato?

Essendo il cuore della nostra azienda basato sull’integrazione dei sistemi, per ovvi motivi troviamo nell’open source un terreno molto fertile che ci permette di personalizzare le nostre soluzioni abbattendo i costi di sviluppo dei relativi software. Grazie all’open source negli ultimi anni il nostro time to market per quanto riguarda i nostri prodotti si è dimezzato. Nel caso specifico utilizziamo il software open source per programmare e personalizzare i nostri sistemi embedded svincolandoci da piattaforme proprietarie.

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Tavola Rotonda – Automazione Oggi N. 380 (Aprile 2015) pubblicato da Michele Santovito.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista seguire il link riportato di seguito http://www.intellisystem.it/portfolio/ao-aprile-2015/

Solar Power Plant News for Americans

During the year 2014 nearly 645,000 American homes and businesses have gone solar. tha’s a great results! But despite solar costs falling 45% since 2010 for residential customers, many low-income homeowners are being left out of the solar surge. Something may change because The White House announced a new partnership with the Department of Energy yesterday that increases the availability of solar power to these Americans.

The National Community Solar Partnership will enable those who rent their homes or don’t have a suitable roof to reap the benefits of solar and receive credit on their utility bills. The partnership, which also includes the Department of Housing and Urban Development, the U.S. Environmental Protection Agency, and the Department of Agriculture will build off of the National Renewable Energy Laboratory’s Guide to Community Shared Solar, which provides a framework for the development of this model for solar deployment in communities, and provide technical assistance to make it easier to install solar. With nearly half of consumers and businesses unable to go solar, community solar’s growth potential is especially important to low-income communities.

In addition to bringing more community solar programs to low-income communities, SunShot is also continuing its focus on workforce development. With the U.S. solar industry seeing a 20% increase in workforce growth in the past two years, SunShot’s workforce training programs will continue to provide the industry with more in-demand workers by training people from low-income communities for new solar careers.

So it’s time to get Solar ???? what do you think about ??

Cristian Randieri, PhD

AO Marzo 2015 Tavola Rotonda Formazione per l'automazione - Intellisystem Technologies

(Italian) Formazione per l’Automazione

Training, aggiornamento, riqualificazione, formazione: facciamo il punto su come si stanno muovendo le aziende di automazione per ‘allenarsi’ e ‘vincere’ sul mercato, domani

Con Cristian Randieri, Ph.D., presidente e CEO di Intellisystem Technologies; Eliana Baruffi, corporate communication manager di ABB Italia e presidente di JA Italia – Junior Achievement;  Ivo Gloder, application engineer and service manager di Mitsubishi Electric Factory Automation; Paolo Colombo, marketing manager di Ansys; Luca Lepore, responsabile del programma Cisco Networking Academy; Fabrizio Conte, CSM country manager Italy di Rockwell Automation; Francesco Sangermani, commercial director di Socomec;  Gianfranco Mereu, responsabile delle relazioni con le scuole e le università della Schneider Electric.

Tutti noi conosciamo il detto latino ‘mens sana in corpore sano’: perchè la mente sia agile e scattante, il corpo non deve essere da meno, deve seguirla e per farlo deve allenarsi. Cosi, seguendo il parallelismo, potremmo parlare di azienda come ‘corpore’ e di individui come ‘mens’, anime dell’azienda. E quest’ultima, proprio come il ‘corpore’ che i romani volevano sempre in forma, deve fare in modo che le ‘sue’ persone, ossia tutti coloro che ne fanno parte e ne rappresentano la ‘mens’, siano aggiornate, informate sulle ultime novità tecnologiche, agili e pronte a cogliere le opportunità che l’innovazione off re, per poter essere essa stessa ‘scattante’, efficiente e ‘vincere’, non tanto sul piano sportivo, ma piùttosto su quello del mercato. E per avere personale ‘in forma’, occorre allenarlo, proprio come le squadre di calcio allenano il loro campioni, investendo in training, formazione continua, corsi di aggiornamento. Soprattutto in questo momento in cui la ‘fabbrica’ si sta trasformando per essere ‘smart’, alla luce di strategie come Industry 4.0, per sfruttare a pieno i vantaggi off erti dall’Internet of Things, dal cloud, dall’interconnessione di cose, processi, persone, e importante si introdurre nuove fi gure, aprirsi ai giovani, collaborare con scuola, università e istituti tecnici per attivare corsi e stage che avvicinino ‘accademia’ e mondo del lavoro, formando diplomati e laureati realmente in grado di inserirsi con profitto in azienda, ma è altresì cruciale aggiornare il personale interno, che oltretutto porta con se la ‘storia’ dell’azienda, l’esperienza. Rendere i lavoratori protagonisti consapevoli del cambiamento e fondamentale per il successo del cambiamento stesso. Vediamo ore come si stanno muovendo su questo fronte alcune aziende del settore.

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Di seguito riportiamo l’estratto dell’articolo riguardante le risposte date da parte del nostro Presidente e CEO Cristian Randieri

1)  Perché un’azienda dovrebbe investire in formazione?

La formazione, soprattutto per un Paese in difficoltà come siamo noi ora, dovrebbe essere imperativa. Cosi come negli anni ‘60, oggi occorrerebbe una spinta da parte dei giovani, che con la loro curiosità e dedizione dovrebbero far riemergere le capacita ‘italiane’. Per questo bisognerebbe intervenire nelle scuole, favorendo l’apprendistato all’interno delle aziende. Lato aziende, oggi esistono strumenti molto efficaci che, grazie alla tecnologia, permettono di assistere a webinar e collegarsi in remoto direttamente alle macchine del cliente per offrire assistenza e formazione. Occorre inoltre puntare sull’innovazione, di prodotto e di processo. Nel primo caso, l’innovazione tecnologica è uno dei fattori determinanti del successo competitivo delle imprese, poichè consente a queste ultime di proteggere i propri profitti grazie a elementi che le rendono uniche, differenziandole. Nel secondo, l’innovazione permette alle imprese di migliorare l’efficienza dei processi di produzione. Occorre quindi investire in innovazione per essere più competitivi ed efficienti e non solo a livello tecnologico, ma anche organizzativo e gestionale.

2)  Il mondo legato alle scuole e agli atenei è spesso visto come incapace di formare giovani che abbiamo competenze qualificanti per entrare nel mondo del lavoro: qual è la vostra esperienza in merito?

Personalmente ho constatato che dopo un breve entusiasmo iniziale i giovani si ‘impigriscono’ e vanno alla ricerca di mansioni routinarie, quando al contrario dovrebbero essere proprio loro il motore trainante delle aziende. Sin dai tempi dei miei studi in ingegneria mi ero accorto che la formazione universitaria che stavo ricevendo non era sufficiente per il lavoro che avrei voluto fare, poichè molte volte era puramente teorica. Ecco, tutto questo continua anche oggi a mancare.

3)  Quanto ‘costa’ all’azienda la formazione dei neoassunti? Quali sono le figure più difficili da formare? La formazione in azienda è comunque imprescindibile?

Il costo per la formazione dei neoassunti è considerevole, poichè tipicamente la loro esperienza è pressochè nulla e si limita al massimo a quella acquisita durante il lavoro di tesi. I costi più grandi si hanno per la certificazione delle persone. Le figure più difficili da trovare sono quelle che dovrebbero lavorare nei dipartimenti di ricerca e sviluppo, poichè in quell’ambito si richiedono figure professionali di un certo livello, che abbiano una forte motivazione e capacità di auto-organizzare il proprio lavoro. Sicuramente la formazione diretta è uno strumento imprescindibile, dato che è l’unica occasione per mettere i giovani di fronte al mondo reale del lavoro. Un ateneo o scuola non potrebbero mai simulare ciò che in realtà avviene in un’azienda.

4)  Ritenete utile stringere accordi o partnership con le scuole (per esempio per stage)? Cosa pensate dell’alternanza studio/ lavoro che in Italia stenta a decollare?

Sicuramente. Scuola/università e lavoro dovrebbero essere in simbiosi. Tutt’oggi cerchiamo di fare in modo che ciò avvenga, infatti molti giovani sviluppano la propria tesi in azienda da noi. Ma ciò non basta, occorrerebbe una vera e propria alternanza studio/lavoro in cui il giovane possa realmente capire per cosa è più portato. Molte volte i giovani alla domanda “Cosa ti piacerebbe fare in azienda?” non sanno rispondere. Il problema più grande è che questo tipo di attività non è affatto agevolata sia nel caso delle aziende (aumento dei costi), sia nel caso degli studenti (meno tempo per studiare)”.

5)  A fronte di temi ‘nuovi’ (cloud computing, Internet of Things, meccatronica, Industry 4.0) ritenete necessario fare formazione internamente, per riqualificare il personale e aggiornarlo?

Assolutamente, facciamo formazione interna, anche con l’ausilio delle moderne tecnologie. Il personale nel nostro caso non è mai ‘riqualificato’, poichè è sempre ‘aggiornato’, semmai aggiunge di anno in anno nuove competenze.

6)  La formazione sta diventando un servizio aggiuntivo da offrire a clienti e utenti finali: quale valore ha nel vostro business?

Nel nostro caso sta diventando una componente crescente, poichè oggigiorno le nuove tecnologie sono davvero tante, oltre a essere ‘bizzarre’ e rivoluzionarie, poichè molte volte si allontanano di molto dai vecchi metodi di lavoro. Intellisystem ha fatto dell’R&S il fulcro attorno al quale ruotano tutte le attività. Per noi l’unico modo di affermarci è quello di innovare, solo così possiamo competere con le aziende più grandi. Per questo i nostri collaboratori sono continuamente aggiornati e preparati per affrontare le nuove sfide tecnologiche e organizzative. Il nostro ‘segreto’ sta nell’acquisire nuove idee a partire dal mondo scientifico.

7)  I clienti vi chiedono formazione sui prodotti che fornite?

Nella maggior parte dei casi si. Dopo una breve seduta formativa occorre affiancare i clienti per qualche giorno, per il resto si lavora telematicamente da remoto.

8)  Quali argomenti ritenete siano più di appeal per gli utenti finali del mondo dell’automazione che chiedono di aggiornarsi?

Ritengo siano davvero tanti, sicuramente quelli che riguardano cloud computing, disaster recovery, data protection, Internet of Things.

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Tavola Rotonda – Automazione Oggi N. 379 (Marzo 2015) a cura di Ilaria De Poli.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista seguire il link riportato di seguito http://www.intellisystem.it/portfolio/ao-marzo-2015/

AO Gennaio-Febbraio 2015 - Il mercato dell'ICT - Intellisystem Technologies

(Italiano) Il mercato dell’ICT

Sorry, this entry is only available in Italian. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language.

L’annuale rapporto sull’ICT stilato da Assintel e Nextvalue fotografa un mercato statico e ancora ‘in ritardo’: occorre far ripartire la ‘macchina’ e ‘digitalizzare’ il Paese. Ma vediamo il parere di alcuni esperti del settore

Con Cristian Randieri, Ph.D., president e CEO di Intellisystem Technologies; Andrea Massari, country manager di Avnet Technology Solutions Italia; Filippo Ligresti, country manager di Dell Italia; Edoardo Albizzati, country manager di Exclusive Networks Italy.

L’analisi di un mercato deve partire dai suoi numeri e i dati che citiamo provengono da una fonte autorevole: Assintel (www. assintel.it), l’associazione nazionale delle imprese ICT, che ha recentemente realizzato l’annuale report, in collaborazione con Nextvalue (www.nextvalue.it). Il mercato che ne emerge è statico e la necessità è quella di far ripartire la ‘macchina’ per favorire davvero il Paese in senso digitale. Entrando nello specifi co, il valore del mercato italiano dell’ICT ha raggiunto i 24,3 miliardi di euro nel 2014, crescendo appena dello 0,7% sull’anno precedente. La crescita è visibile solo nei settori più innovativi e connessi alla ‘mutazione digitale’, per esempio il cloud computing. Per esso la spesa è cresciuta in un anno del 22%, risultato della somma della componente classica (+33%) e di quella di ‘business process as a service’ (+13%). L’hardware, per contro, continua a recedere (-1,6%) trascinato dal declino dei PC solo in parte controbilanciato dalla crescita di smartphone (+9,3%) e tablet (+5%). Interessante anche l’analisi della provenienza degli investimenti. Tutti i segmenti di mercato legati alla spesa pubblica in ICT continuano a calare, innescando forti dinamiche di downpricing a svantaggio dei vendor. Nel dettaglio, la spesa della pubblica amministrazione centrale si è contratta del 4,1%, quella degli enti locali del 3,9% e quella della sanità del 3,1%, mentre più contenuti sono stati i ribassi del commercio (-1,65) e dell’industria (-0,2%). In ogni caso, nulla di eccitante se si attendono segnali di ripresa dell’economia. Chi sembra invece tornare a investire sono i tradizionali ‘big spender’: le banche con un +3,2%, le assicurazioni (+3,1), le telecomunicazioni (+3,3%) e le utility (+4,4%). In lieve ripresa anche gli investimenti in ICT delle grandi aziende (+0,8%), mentre restano negativi quelli di piccole (-3,4%) e micro imprese (-2,3%). Una rifl essione è d’obbligo… Incrementare il mercato dell’ICT per crescere nel ventunesimo secolo è obbligatorio, ma è evidente la carenza culturale. Il nostro Paese ha realizzato il boom del dopoguerra basandosi sulla lotta all’analfabetismo. Un segno di sviluppo di quei tempi fu la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi” con il Maestro Manzi. Oggi noi abbiamo bisogno del ‘Maestro Manzi digitale’, per far capire a quella buona metà del Paese che ‘non è mai troppo tardi’ per digitalizzarsi. Investire nella cultura digitale (e in parallelo nella digitalizzazione dei servizi della PA) signifi – cherebbe non soltanto rivitalizzare un mercato, ma anche contribuire all’emancipazione (digitale) del Paese. Abbiamo voluto coinvolgere primari attori del mercato ICT ponendo loro qualche domanda che toccasse un po’ tutti gli aspetti più attuali e prospettici del mercato. A loro la parola, con la certezza che anche loro sono convinti che “Non è mai troppo tardi”.

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Di seguito riportiamo l’estratto dell’articolo riguardante le risposte date da parte del nostro Presidente e CEO Cristian Randieri

1)  L’accordo IBM-Apple sembra rivoluzionare il mondo del ‘mobile’ dedicato all’industria. Come vede l’evoluzione del manifatturiero verso il mondo iOS? La collaborazione tra questi due ‘giganti’ rappresenta un pericolo o un’opportunità?

L’accordo IBM-Apple nasce dalle mutue esigenze di espandere i rispettivi mercati. Poiché ognuna delle due aziende non invade il mercato dell’altra, un’alleanza era più che prevedibile. Dalla letteratura ufficiale sull’accordo si evince l’offerta di decine di soluzioni business specifiche per settore, app native, servizi cloud, una nuova offerta di assistenza e supporto su misura per le esigenze dei clienti business. Mi sembra che sia un tentativo di dominare il mercato della mobilità aziendale attraverso la creazione di un player tecnologico di riferimento. Credo che l’attenzione dei dipartimenti IT si stia spostando sempre più dai device alle app, data una marcata standardizzazione dei device stessi. Vedo come principale il problema dell’integrazione dei device e app mobili con l’infrastruttura aziendale e il parco applicativo già esistente. Detto questo, mi sembra che l’unione, in definitiva, sia un vantaggio reciproco per i due colossi, anche nell’ottica di una maggiore adozione di politiche Byod (Bring your own device) e data anche la diffusione di apparecchi Apple. Fatte queste premesse per le aziende come la mia penso si profilino due opzioni. La prima è quella di accettare l’alleanza ampliando la propria offerta e, ove possibile, integrandosi con le loro soluzioni. La seconda è quella di continuare per la propria strada rischiando di perdere sempre più quote di mercato. In conclusione, penso che la soluzione migliore sia una via di mezzo, ovvero sfruttare il loro canale specializzandosi in applicativi e hardware che siano progettati in modo verticale sui loro device e applicativi. Certamente è più facile a dirsi che a farsi. Occorrono investimenti per poter lavorare con le nuove piattaforme e i relativi standard, che di fatto sono proprietari. A ben vedere ci sarebbe anche l’opzione dell’attesa delle contromosse della concorrenza di IBM e Apple. Com’è noto la competizione porta vantaggi al mercato.

2)  Il cloud si fa sempre più strada nell’industria, oltre che nel privato. Oggi lo storage nella ‘nuvola’ porta a una rivoluzione dell’organizzazione lavorativa e dei modelli di business. È lampante però il problema della sicurezza. La sua azienda come vede questo problema? Pensa che le decisioni relative alla sicurezza informatica del cloud siano appannaggio del settore IT o che le business line operative debbano avere voce in capitolo?

Nonostante il cloud computing sia oggi parte integrante della vita digitale di quasi tutti gli utenti della rete, è la sicurezza l’argomento che ne fa dibattere l’utilizzo, soprattutto in azienda. Dai dati di F-Secure, emersi nella ricerca “Digital Company Survey 2013”, si evince che la sicurezza dei dati resta la preoccupazione principale che ostacola l’adozione di questi servizi da parte delle aziende. Il 45% delle realtà intervistate non usa il cloud per motivi di sicurezza. Sono le imprese con dai 50 ai 500 dipendenti le più scettiche nell’adozione delle tecnologie cloud, ritenute anche costose e poco performanti. Secondo il mio parere, il cloud computing è tutt’altro che insicuro, a condizione di studiare attentamente la soluzione da adottare. Il rischio più grande non è propriamente intrinseco all’offerta delle soluzioni cloud aziendali, ma deriva dal fatto che le aziende non sono capaci di fornire ai propri dipendenti un servizio online semplice e chiaro. Il dipendente non supportato nelle nuove tecnologie finirà per utilizzare il proprio account e le applicazioni personali al di fuori del controllo aziendale. Sicuramente questo rappresenta un rischio ben maggiore per la sicurezza dei dati. In conclusione, penso sia opportuna un’attenta e mirata opera di formazione in merito alla scelta e all’utilizzo del cloud in azienda.

3)  I ‘Big Data’ sono un argomento di grande attualità. Qual è la sua visione in merito? Quali sono le nuove frontiere analitiche di questa ‘miniera’? Come potrebbero gli advanced analytics influenzare il mercato dell’automazione e il mondo della produzione industriale?

Le sfide che si affrontano con i Big Data sono varie, ma forse la più importante è la comprensione del significato che essi possono assumere per le aziende. Essi consentono una visione illimitata di ciò che potrebbe essere il futuro. L’adozione a livello aziendale esige che la soluzione dei Big Data possa adeguarsi senza problemi alla struttura IT già esistente. I dati macchina ottenuti costituiscono la più recente e copiosa fonte di informazione. Per ottenere i vantaggi della Internet of Things sono essenziali un’estrema scalabilità, una gestione degli eventi in tempo reale e un abbassamento del time-to-vision. L’utilizzo e l’analisi dei Big Data consente alle aziende di creare e applicare modelli predittivi per raggiungere rapidamente gli obiettivi di performance aziendali prefissati. Concretamente, nel caso del mercato dell’automazione, si potrebbe immaginare un mondo in cui i sistemi intelligenti, Internet of Things, sensori e robotica si combinino per automatizzare le grandi aree di produzione, davvero lo ‘smart manufacturing’. Realizzare tutte le potenzialità della produzione con l’utilizzo dei Big Data è, al momento, qualcosa di davvero avveniristico. Dipendere dai Big Data potrebbe rappresentare la quarta rivoluzione industriale.

4)  La stampa 3D è una nuova frontiera dell’ICT che impatta direttamente sulla produzione. Che futuro vede per questa tecnologia?

Le potenzialità delle nuove tecnologie basate sulla stampa 3D sono sempre più al centro dell’attenzione di produttori e consumatori accompagnate da previsioni di molti venture capitaliste di società di ricerche. Si è provato a stimare, anche in termini economici, quale sarà il futuro della stampa 3D. Canalys, per esempio, prevede che il mercato globale della stampa 3D crescerà da 2,5 miliardi di dollari nel 2013 a 16,2 miliardi entro il 2018. È chiaramente troppo presto per sostenere che la manifattura additiva avrà la forza per sostituire i tradizionali processi produttivi. Sicuramente esistono vantaggi per grandi e piccole aziende: macchinari meno costosi, sostegno alla competitività di aziende artigiane iperspecializzate, condivisione di processi di design (crowd-design) e di ricerca di servizi (crowd-sourcing), allargamento della competizione anche alle piccole aziende, diffusione di un modello di lavorazione e commerciale digitale (si vendono file di lavorazione). Sono convinto che la stampa 3D avrà un notevole impatto sull’accorciamento delle supply-chain. Stampare in tre dimensioni i dati contenuti in un file di progettazione ha implicazioni importanti sulle logiche degli attuali sistemi di gestione logistica. È ipotizzabile che le grandi fabbriche possano essere sostituite da laboratori eco-sostenibili per la produzione di serie limitate e personalizzate di piccoli manufatti. La stampa 3D permette inoltre l’utilizzo di materiali innovativi e geometrie produttive molto complesse non riproducibili con lo stesso livello di precisione in un processo di assemblaggio.

5)  Parliamo di Agenda Digitale. Il problema infrastrutturale in Italia è ancora irrisolto. Diventi per un secondo il Presidente del Consiglio: qual è la sua ricetta per invertire il trend e avviare lo sviluppo digitale dando corpo e respiro non solo al mercato ICT, ma a tutto il mondo produttivo del Paese?

Il tema dell’Agenda Digitale è davvero da ‘allarme rosso’. La sua implementazione doveva essere una delle principali leve per lo sviluppo e la modernizzazione del Paese. Avrebbe dovuto consentire all’Italia il recupero del gap che da anni la separa dalle nazioni più virtuose nell’adozione dell’ICT. Purtroppo l’innovazione è frenata dalla burocrazia e sono impressionanti i ritardi accumulati dal Governo nell’adozione dei provvedimenti attuativi. Alla PA è impedita la transizione al digitale, i cittadini e le imprese non hanno a disposizione strumenti per un rapporto telematico con la PA, le imprese dell’ICT non possono investire per una cronica incertezza su standard e regole tecniche. Il ritardo nell’attuazione dell’Agenda Digitale è riconducibile anche all’evidente scarsa importanza che questi temi rivestono per il Governo. Dunque la mia ricetta: non servono nuove norme, bisogna applicare, presto e bene, quelle che ci sono già. Realizzare l’Agenda Digitale dovrebbe significare riorganizzare integralmente le PA, per ridurne i costi e per trasformarle da freno all’economia a strumento di promozione dello sviluppo. Operare a livello culturale sugli utilizzatori, imprese o cittadini che siano, per creare il giusto bacino d’utenza dei servizi che in parallelo devono essere messi a disposizione. Occorre creare dei tavoli di lavoro su progetti quadro da suddividere in sottogruppi operativi. La mia idea è quella di strutturare una governance informata e partecipata, di creare un luogo di riferimento per i funzionari della PA, soprattutto locale, che vogliano esporre i loro progetti e trovare modelli strutturali adeguati alle loro esigenze. Occorre rivoluzionare il metodo di lavoro finora applicato, serve innanzitutto definire un sistema di misurazione dei risultati dell’Agenda Digitale per poi individuare gli obiettivi e con essi la strategia globale da adottare. Si tratta di un metodo che avrebbe misuratori qualitativi e quantitativi in base ai quali elaborare le scelte più adeguate per il Paese.

Tavola Rotonda – Automazione Oggi N. 378 (Gennaio/Febbraio 2015) a cura di Vitaliano Vitale.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista seguire il link riportato di seguito  http://www.intellisystem.it/portfolio/ao-gennaiofebbraio-2015-1/

Scada Gesture User Interface a New Revolutionary SCADA HMI interface - Intellisystem - Randieri

(Italian) Scada Gesture User Interface (SGUI): a New Revolutionary SCADA HMI interface

Intellisystem Technologies nel corso del 2014 ha effettuato un notevole investimento nella ricerca e sviluppo di nuove soluzioni nel campo della tecnologia Natural User Interface (NUI). In particolare nel corso del 2015 verrà rilasciata la prima soluzione hardware/software che permetterà di trasformare qualsiasi superficie video che proietti immagini di applicativi Scada per l’automazione industriale in un moderno sistema touchscreen interattivo denominato Scada Gesture User Interface (SGUI). La nuova tecnologia permetterà agli operatori delle varie control room di comandare software Scada semplicemente con la gestualità delle mani senza ricorrere a tastiere, mouse o dispositivi touchscreen. La soluzione proposta si presenta come valida alternativa alle soluzioni touchscreen attualmente adoperate con l’inevitabile vantaggio di una maggiore comodità unita a una riduzione dei costi.

A cura di Cristian Randieri. Articolo pubblicato sulla rivista Automazione Oggi N. 378 – Gennaio/Febbraio 2015.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista, seguire il link riportato di seguito http://www.intellisystem.it/portfolio/ao-gennaiofebbraio-2015-2/

EO News Settembre 2014 - Sistemi di Visione Parola alle aziende - Intellisystem Technologies

(Italian) Intervista a Cristian Randieri: Parola alle aziende “Sistemi di Visione”

1)  Qual’é la sua opinione riguardo l’andamento del mercato (rallentamento, crescita, forte incremento…)?

Durante gli ultimi 15 anni, la tecnologia dei sistemi di visione è maturata notevolmente, diventando in alcuni casi un indispensabile strumento per l’automazione di fabbrica. L’evoluzione dei sistemi di visione per applicazioni industriali è costante, e nei prossimi anni si assisterà ancora a una significativa estensione dell’insieme delle soluzioni disponibili. Intellisystem Technologies opera nel campo dei sistemi di visione da più di dieci anni ed è costantemente attenta alle evoluzioni del relativo mercato. Progressi nello sviluppo di nuovi sensori, nel processamento di segnali digitali, nelle Fpga, nei microprocessori, nell’elettronica e nei sistemi calcolo embedded hanno ampliato lo spettro applicativo della tecnologia applicata di sistemi di visione. Il mercato dei sistemi di visione è relativamente giovane, i primi sistemi sono stati sviluppati e impiegati per applicazioni militari negli anni ’40-’50. Occorre attendere sino agli anni ’80-’90 prima di avere una reale commercializzazione delle soluzioni e quindi la creazione di un mercato vero e proprio. In questi anni e sino ai primi anni del 2000 il mercato muove i primi passi utilizzando la tecnologia di quegli anni, non ancora così evoluta come quella dei nostri giorni. Lo studio condotto da Frost & Sullivan dal titolo ‘Analysis of the Global Industrial Machine Vision Market’ ha rilevato che nel 2012 il mercato ha prodotto un fatturato di 4,5 miliardi di dollari e stima che lo stesso raggiunga, entro il 2016, i 6,75 miliardi. Il rapporto include gli ambiti dei sistemi di visione, delle telecamere industriali, delle schede di acquisizione video, dei sistemi ottici e di illuminazione e dei software per sistemi di visione. La nostra esperienza ci evidenzia un forte incremento di richiesta di soluzioni inerenti i mercati tradizionali basati sui processi produttivi. I nostri clienti stanno applicando la visione industriale nelle linee di produzione a volumi elevati, compatibilmente con una domanda di soluzioni flessibili e rapide da integrare in tutti i sistemi di automazione per la fabbrica. Sebbene negli ultimi due anni la crisi del debito, insieme alle politiche di austerity e taglio dei costi di produzione abbiano comportato un nuovo assestamento, i player sono ancora ottimisti riguardo al futuro e parlano di una stabilizzazione del mercato a partire dal 2014, dopo il rallentamento subito negli scorsi anni.

2)  Quali sono le principali strategie adottate dalla vostra società sul breve/medio periodo per soddisfare al meglio le richieste di questo mercato?

Il mercato della visione artificiale tipicamente è suddiviso tra due player: i produttori di dispositivi e i system integrator. Nella prima categoria rientrano i grandi produttori di telecamere industriali, smart camera, sistemi di visione embedded, ai quali si aggiungono i produttori di sistemi di sviluppo software per le applicazioni di imaging. Alla seconda categoria appartengono invece realtà aziendali, tipo la nostra, che utilizzano i prodotti disponibili sul mercato per sviluppare soluzioni, aggiungendo competenze ingegneristiche dal punto di vista dello sviluppo software, dell’integrazione dei sistemi ed esperienza in settori specifici. Le principali strategie adottate dalla nostra azienda per incidere sul mercato della visione artificiale nascono dalle seguenti considerazioni: – I prodotti presenti sul mercato hanno caratteristiche tecniche o prestazioni talvolta insufficienti a rispondere alle necessità specifiche del cliente. – I dispositivi da impiegare possono essere troppo costosi per l’applicazione, perché pensati in origine per un utilizzo generico che non tiene in considerazione l’applicazione stessa. – È sempre più sentita la necessità di disporre di un prodotto altamente performante, con a bordo una tecnologia sempre più innovativa e sofisticata, ma allo stesso tempo caratterizzato da un costo competitivo. La nostra strategia di penetrazione di mercato si basa su un approccio di tipo ‘custom’ per la creazione di un prodotto personalizzato e specifico che sia al tempo stesso ottimizzato ed economicamente vantaggioso. In altre parole più tecniche, miriamo allo sviluppo di prodotti o sistemi “ad-hoc” che siano portatili e al tempo stesso scalabili su più piattaforme hardware e software. Una sfida che non molte aziende, allo stato attuale, sono in grado di raccogliere. Per poter trarre reale vantaggio da un tale tipo di approccio è infatti necessario, per qualsiasi produttore di dispositivi, poter contare su un partner system integrator con competenze tecnico ingegneristiche e strutture adeguate, dotato di un team specializzato in R&D operante in laboratori di sperimentazione che sia in grado di fornire soluzioni su misura, economicamente vantaggiose e, allo stesso tempo, rispondenti alle specifiche richieste del cliente. La versatilità, la flessibilità nei confronti delle esigenze del cliente e la capacità di diversificazione sono i nostri punti di forza imprescindibili per interfacciarci al mercato della visione con un approccio di tipo ‘custom’. Siamo convinti che un’azienda che racchiuda al suo interno tutte queste peculiarità può fare la differenza, in termini di competitività, per il proprio cliente, offrendo maggiore elasticità che consente di proporre soluzioni integrate e personalizzate.

3)  In che modo state implementando queste strategie (stipula di accordi/collaborazioni, nuove acquisizioni, investimento in attività di ricerca e sviluppo, in risorse umane…)?

Il segreto del nostro successo è tutto racchiuso nel nostro nucleo di R&D e nei nostri laboratori sperimentali in cui siamo in grado di costruire prototipi che andranno installati e validati a bordo macchina del cliente. Finalizzato il prodotto ‘custom’, i nostri ingegneri studiano e progettano nel dettaglio tutte le fasi di set up producendo una documentazione professionale, semplificando così l’attività del produttore che dovrà semplicemente installare i nostri sistemi sui propri macchinari, con un evidente risparmio in termini di tempistiche e costi. Le competenze a livello hardware acquisite dalla nostra azienda partono dalla conoscenza dei sensori di immagine presenti sul mercato per arrivare alla stipula di accordi di partnership con i maggiori produttori mondiali (Sony, Flir, Aptina e così via). I punti di forza della nostra realtà si basano sullo sviluppo in-house all’interno dei nostri laboratori di R&D delle attività che spaziano dall’integrazione dei sensori di immagine allo sviluppo dell’hardware su piattaforme embedded passando dalla progettazione delle schede elettroniche, lo sviluppo di firmware, alle prove di compatibilità elettromagnetica, alla progettazione meccanica sino ad arrivare ai test ambientali, termici e di compatibilità EMC.

4)  Quali sono i settori applicativi più promettenti?

Storicamente i sistemi di visione hanno avuto più successo in applicazioni dove sono stati integrati nel processo di produzione. Ad esempio, le macchine per l’assemblaggio dei circuiti stampati. Tuttavia, continui miglioramenti in termini di costi, prestazioni, robustezza algoritmica e facilità d’uso hanno incoraggiato l’uso di sistemi di visione nell’automazione della produzione in generale. Ulteriori progressi in questi settori caratterizzeranno il futuro della visione artificiale, incoraggiando nell’arco dei prossimi anni la progettazione e realizzazione di nuovi sistemi da utilizzare in nuovi piani di produzione. Pensiamo che il futuro dei sistemi di visione in termini di diffusione in nuovi settori applicativi debba includere tre fondamentali caratteristiche: 1. Devono essere sempre più veloci, ovvero devono essere sempre capaci di tenere il passo con i più moderni tassi di produzione. 2. Devono essere sempre più intuitivi e facili da usare. La facilità di utilizzo non implica solo un livello superiore in termini di “point-and-click” nell’interfaccia grafica, ma anche una gestione multilivello e la garanzia di accesso completo a tutti gli utenti del sistema previsti con diversi livelli di autorizzazioni. 3. Devono essere sempre più flessibili, portatili e scalabili al fine di essere facilmente ricollocati in funzione delle normali variazioni dei processi di produzione in cui verranno impiegati. Fatta questa premessa pensiamo che i settori più promettenti per i sistemi di visione siano quelli che spaziano tra l’elettronica, i prodotti farmacologici, i sistemi d’imballaggio, i dispositivi medici e i prodotti automotive senza nulla togliere ai prodotti consumer.

5)  Quali sono i principali fattori che distinguono la vostra azienda rispetto ai concorrenti?

Sicuramente è il nostro approccio ‘custom’ che ci permette di ottenere un sistema di visione maggiormente integrato e compatto, con minori consumi e quindi massima affidabilità, riuscendo a garantire al produttore che lo utilizzerà sui propri macchinari un sicuro vantaggio tecnologico. Questo significa, per una realtà come Intellisystem Tecnologies, avere la capacità di fornire una tecnologia definibile ‘su misura’, con in se una grande capacità di portare innovazione grazie all’impegno di una squadra di esperti in R&D. La grande flessibilità della nostra struttura ci consente di rispondere a ogni richiesta specifica del nostro cliente fornendo, ad esempio, anche soltanto la piattaforma hardware senza quella software. Allo stesso modo, la nostra capacità di realizzare un prodotto finito (hardware e software) permette ai nostri clienti di ottenere prestazioni e affidabilità difficilmente raggiungibili in altro modo. I sistemi di visione sviluppati secondo la nostra filosofia portano un grande beneficio tecnologico consentendo ai nostri clienti OEM di ottenere macchine più performanti e sicure rispetto a quelle della propria concorrenza. Ma non solo, i nostri clienti OEM grazie alle nostre tecnologie hanno uno strumento per la creazione di applicazioni personalizzate di visione che gli permette di spingersi sino alla creazione di nuovi strumenti veri e propri garantendogli un più rapido “time-to-market”.

6)  Pur non avendo la sfera di cristallo, quali sono le previsioni sul lungo termine?

Le tendenze hardware e software evidenziate continueranno a intensificarsi in futuro. L’hardware sempre più veloce, unitamente a strumenti più intelligenti e software applicativi e di sviluppo più perfezionati, consentirà una proliferazione più ampia e più profonda della visione artificiale nel settore manifatturiero. Tuttavia, attraverso i recenti progressi in termini di riduzione dei costi di produzione, insieme all’aumento di prestazioni, robustezza e facilità d’uso, faranno sì che il mercato dei sistemi di visione si espanda sempre più a ritmi sempre crescenti difficilmente ipotizzabili sino a pochi anni fa. Allo stesso tempo, gli ultimi 15 o 20 anni di applicazioni di sistemi di visione all’interno delle fabbriche hanno fatto maturare una grande esperienza dei produttori sugli usi ottimali di questi sistemi facendo maturare anche la consapevolezza che i confini applicativi di oggi continueranno a muoversi verso l’esterno. I produttori di macchine industriali in futuro considereranno la visione a bordo macchina non come una semplice curiosità, ma piuttosto come uno strumento maturo da impiegare sempre più nei loro processi di produzione. Anche se molti dei potenziali utenti di queste tecnologie potrebbero voler attendere nuove tecnologie del futuro – tra cui hardware più veloce e il software più intelligenti – gli sviluppi più recenti della tecnologia dei sistemi di visione implicano che “il futuro è adesso”, oggi è il momento più proficuo per investire in queste tecnologie.

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Intervista a Cristian Randieri, Presidente e CEO di Intellisystem Technologies, pubblicata sulla rivista EONews N. 578 – Settembre 2014.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista seguire il link riportato di seguito http://www.intellisystem.it/portfolio/eonews-settembre-2014/

RFID based PPE Scanner Intellisystem

(Italian) A New RFID based “Personal Protective Equipment (PPE) Scanner”

Frutto di una costante ricerca dell’innovazione e dell’adeguamento alla domanda crescente di prodotti destinati alla sicurezza antinfortunistica, Automation Service in collaborazione con Intellisystem Technologies risponde al mercato con lo sviluppo del primo sistema elettronico automatico per la verifica delle Dotazioni di Protezione Individuale (DPI) che utilizza e integra le più moderne tecnologie Rfid nei cantieri industriali e civili. Il sistema denominato DPI Scanner ha come caratteristiche fondamentali quelle di essere facilmente installabile e utilizzabile in qualsiasi luogo: consiste in un varco elettronico tecnologicamente avanzato da installare in prossimità dei punti di accesso alle zone di lavoro, tipicamente ponteggi e costruzioni comunemente presenti nei cantieri industriali e civili. Il sistema, corredato di una piattaforma software personalizzabile, permette al responsabile della sicurezza del cantiere di applicare tutte le policy di sicurezza nel rispetto delle vigenti normative. In particolare è possibile specificare e quindi identificare le seguenti variabili: verifica del permesso di lavoro, DPI richiesti, verifica DPI soggetti a naturale scadenza, eventuali sensori per gas nocivi. Una volta impostate le regole che il sistema dovrà far rispettare è sufficiente che l’operaio di turno, dotato di tutto l’equipaggiamento e in regola col permesso di lavoro, attraversi uno specifico varco per cui il DPI Scanner verificherà in automatico e in pochi istanti la congruenza tra quanto rilevato e quanto specificato dalle policy dettate da l responsabile sicurezza del cantiere. Per far ciò è necessario integra re dei TAG Rfid in ogni DPI o equipaggiamento che dovrà essere controllato. È una soluzione hi-tech per la sicurezza che permette di ottimizzare i tempi di accesso ai cantieri nel totale rispetto delle regole.

A cura di Cristian Randieri. Articolo pubblicato sulla rivista Automazione Oggi N. 365 – Luglio/Agosto 2013.

Per scaricare l’articolo pubblicato sulla rivista, seguire il link riportato di seguito http://www.intellisystem.it/portfolio/ao-luglioagosto-2013

Intellisystem Technologies