Automazione Oggi - March 2017

AO March 2017

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Tavola Rotonda

“Marcia indietro

a cura di A. Cattaneo e C. Cominotto

Si chiama fenomeno ‘reshoring’ ed e la scelta delle aziende di riportare in patria il lavoro che avevano delocalizzato. Cosa ne pensano le aziende dell’automazione? 

Le imprese fanno marcia indietro, una tendenza che negli ultimi anni sta prendendo piede. Si chiama fenomeno ‘reshoring’ ed è la scelta delle aziende di riportare in patria il lavoro che avevano delocalizzato. Un fenomeno nato negli USA al tempo del presidente Obama, e ben rimarcato ora da Trump, è stato anche esportato in Europa e in Italia dove la tradizione manifatturiera è antica. Sono parecchi ormai i casi di ‘rilocalizzazione produttiva’ documentati e concentrati soprattutto nel nord Italia in quei settori in cui la manifattura italiana è più attiva come la meccanica, l’abbigliamento, l’arredamento, l’agroindustria e la farmaceutica. Settori in cui ci sono competenze, esperienza, cultura d’impresa, in cui è sapiente il mix di tradizione, innovazione, qualità, impiego intelligente di conoscenze produttive tecnologiche. E soprattutto in tempi di Industry 4.0, di digital manifacturing, di start-up è sicuramente una sfida da molti punti di vista. Ne abbiamo parlato con alcuni esponenti di aziende del mondo dell’automazione per capire quanto vale il vero ‘Made in Italy’. I nostri interlocutori: Alessandra Boffa, business development manager, Robotics & Motion Division di ABB (www.abb.it); Cristian Randieri, presidente e CEO di Intellisystem Technologies (www.intellisystem.it); Marco Filippis, product manager robot di Mitsubishi Electric (http://it3a.mitsubishielectric.com/fa/it); Roberto Zuffada, head of digital enterprise team di Siemens Italia (www.siemens.it), Francesca Selva, vice president marketing & events di Messe Frankfurt Italia.

 

Automazione Oggi: Secondo dati del Centro Europeo Ricerche il reshoring è evidente in settori come meccanica, abbigliamento, arredamento, agroindustria e farmaceutica. Si rientra soprattutto da zone come Cina ed Europa orientale, al fine di ridare valore all’origine geografica dei prodotti, aumentare la qualità di prodotti e servizi, perché il fattore costo non è più così rilevante, per un più facile accesso alle innovazioni. Cosa ne pensa?

Alessandra Boffa: Pur essendo ancora in una fase iniziale, soprattutto in Italia, il reshoring è un fenomeno evidente, destinato a portare benefici a tutti gli attori del mercato. Personalmente ritengo che avessimo bisogno di riportare la produzione a casa e che questa inversione fosse prevedibile, fa parte dei cicli economici. Tutti sapevamo che il costo della manodopera in certi Paesi sarebbe aumentato, riducendo la loro competitività in termini puramente economici. A questo si sono aggiunte le spinte della globalizzazione e dell’automazione avanzata e pervasiva, ulteriormente sostenute ora dall’IoT e dall’Industria 4.0, che favoriscono non solo una maggiore flessibilità ma la nascita di veri e propri nuovi modelli di business. La manifattura che sta tornando nei mercati tradizionali è però diversa da quella che era stata delocalizzata: essere competitivi oggi non è più solo una questione di prezzo e manodopera a basso costo, quanto piuttosto di ricerca, professionalità e competenze.

Cristian Randieri: Il reshoring ultimamente è un fenomeno di cui si sente parlare sempre di più e rappresenta oggi un argomento molto ‘intrigante’ poiché, di fatto, è opposto per definizione a quello dell’offshoring. Dopo decenni di delocalizzazione stiamo assistendo a un’inversione di tendenza, per cui ormai è quasi una realtà che negli ultimi anni gli imprenditori italiani rientrino (o quantomeno valutino attentamente di rientrare) nel Paese di origine. I costi di produzione sono notevolmente aumentati nei Paesi asiatici e la logistica rappresenta oggi un problema ancor più aggravato dalla crisi delle grandi compagnie che movimentano container. Sempre più aziende che prima e durante la crisi avevano delocalizzato, ora scelgono di rimpatriare, spinte da diversi fattori tra cui l’aumento dei costi del lavoro in Asia e i sintomi di ripresa in America ed Europa, talvolta favorite da politiche fiscali e di semplificazione tese a riattrarre in patria le imprese. Ma c’è di più: negli anni scorsi l’esigenza dei consumatori cinesi in termini di qualità è cresciuta a due cifre grazie al diffondersi di una classe media sempre più numerosa. Persone che cercano prodotti ‘fatti bene’ che non vogliono sentir parlare di ‘Made in China’ bensì di ‘Made in Italy’. Il reshoring oggi è ormai una realtà confermata anche da uno studio recente condotto dalla Cbi, la Confindustria inglese, che conferma questa tendenza tra i dirigenti delle maggiori imprese di UK, Italia, Germania, Francia e Olanda. Anche in Italia sono stati condotti diversi studi in merito, tra cui quello del gruppo di ricerca Uni-Club More Back-reshoring dal 1997 al 2013, a cui partecipano gli atenei di Catania, L’Aquila, Udine, Bologna, Modena e Reggio Emilia. Tale studio evidenzia come al concetto di reshoring si possa aggiungere anche il near-reshoring, etichetta con cui si intende descrivere l’azienda straniera che decide di spostare la propria produzione o parte di essa in un Paese più vicino alla casa madre (in questo caso, l’Italia). Chiaramente la partita del ritorno della manifattura in Italia si gioca sul piano delle sfide tecnologiche imposte dall’Industria 4.0 e dalle condizioni e politiche che l’amministrazione intenderà mettere in atto per rendere ancora più competitivo il nostro Paese. Sicuramente far tornare in Italia la manifattura è l’unica e l’ultima possibilità per riportare ‘a casa’ parte del lavoro perduto. Tutto ciò oggi non è più utopia: il reshoring è già una realtà di molte aziende. Ma non basta, servono politiche economiche che sostengano in modo serio chi ha ancora voglia di fare impresa in Italia, unite a una nuova strategia industriale che punti sull’innovazione della fabbrica, sempre più intelligente.

Marco Filippis: Le motivazioni fondamentali della rilocalizzazione produttiva verso i Paesi d’origine è sicuramente legata a una serie di fattori che hanno favorito una sostanziale retromarcia strategica, dovuta certamente a motivazioni di carattere economico. Costi di trasporto troppo variabili a causa delle continue variazioni del petrolio, la lentezza dei trasferimenti via nave a oggi incompatibili con le tempistiche del mercato e infine, l’inevitabile aumento dei salari nei Paesi emergenti hanno di fatto indotto le aziende italiane a re-investire in Italia. Soprattutto per le aziende appartenenti ai settori merceologici robusti e caratterizzati da una grossa fetta di introiti sulla voce ‘export’, il re-shoring ha favorito la riflessione dell’intero comparto industriale sul tema della qualità del prodotto finale e sul valore aggiunto fornito dagli operatori del settore. Il re-shoring, per quanto consistente, evidenzia un limite strutturale legato al fatto che è impossibile che si autoalimenti all’infinito. Per tale ragione è fondamentale che ci sia una strategia politica in materia di sviluppo che attragga i capitali multinazionali, favorisca la nascita di start-up innovative e renda virtuoso il processo di rientro.

Roberto Zuffada: I dati dell’ultimo anno dimostrano che le imprese che sono tornate o che intendono tornare a produrre nel Paese europeo di origine sono sensibilmente aumentate. L’inversione di tendenza si sta concretizzando principalmente perché il costo della manodopera, delle materie prime e del trasporto dei prodotti finiti, nei Paesi dove più si è de-localizzato, è in netto aumento e tornare a produrre dove l’azienda è localizzata può dare un vantaggio competitivo nella valorizzazione del marchio, soprattutto per i prodotti con grande valore aggiunto. Spesso la qualità di produzione nei Paesi di origine è migliore e la minore distanza, anche culturale, tra la ricerca e sviluppo e i siti produttivi aiuta a migliorare sia il prodotto sia il processo di manufacturing.

Francesca Selva: Indubbiamente negli ultimi 2/3 anni c’è stata un’inversione di tendenza, dopo anni in cui le aziende italiane ed europee hanno trasferito parte della produzione in Paesi dove il costo della manodopera era nettamente più favorevole, ora l’obiettivo è riportare la produzione nei Paesi di origine. Le ragioni sono molteplici. Se è pur vero che il costo della manodopera è inferiore, le spese aggiuntive dovute agli espatriati, ai trasporti e ai costi sommersi non facilmente identificabili, hanno fatto comprendere che una gestione diretta e nel proprio territorio ha notevoli vantaggi. Inoltre la competitività si vince maggiormente con la differenziazione e l’innovazione piuttosto che con il solo prezzo.

A.O.: Certamente un fenomeno da favorire dal momento che il mercato internazionale è sensibile alle produzioni 100% Made in Italy. E certamente una sfida per le aziende. Ma cosa serve per attuarlo?

Selva: Il Piano Calenda lanciato lo scorso settembre dal Governo è una misura molto forte e interessante per rilanciare il manifatturiero in Italia. È indubbio che i macchinari e i processi produttivi delle nostre aziende non sono sempre adeguati al mercato, quindi sono necessari investimenti in tecnologia, ma anche nella revisione dei business model delle nostre aziende.

Boffa: ABB è una multinazionale con una forte presenza in Italia che ci consente di beneficiare del valore aggiunto del Made in Italy, sia all’interno della nostra organizzazione, sia nei rapporti commerciali con le aziende clienti. Sul fronte interno ABB, in Italia abbiamo diversi centri di competenza, come per esempio gli stabilimenti di Dalmine e Frosinone, dove possiamo contare su risorse altamente qualificate in ambito di ricerca e sviluppo. Un’altra eccellenza italiana di ABB è il portafoglio di soluzioni per la mobilità elettrica, che consente i servizi di ricarica dalla piccola auto all’autobus e che ha il proprio ‘cuore e cervello’ in Italia. Se, quindi, il Made in Italy aiuta noi stessi nell’accesso a competenze e risorse qualificate, sul fronte esterno ci offre un enorme parco di aziende manifatturiere votate all’export che usufruiscono delle nostre tecnologie per sviluppare le loro soluzioni Made in Italy. Nonostante le pesanti delocalizzazioni degli ultimi anni, l’Italia resta ancora in buona posizione nella classifica dell’industria manifatturiera mondiale: la svolta del reshoring sarà salutare e ci aiuterà a risalire nella classifica.

Randieri: In Italia quando si parla di reshoring tipicamente ci si riferisce al comparto tessile e calzaturiero, poiché assieme rappresentano oltre il 43% del totale, settori che storicamente sono stati sinonimo di eccellenza del Made in Italy, a cui seguono l’elettronica- elettrotecnica (quasi 19%) e infine automotive, meccanica, mobili e arredo che raggiungono a malapena il 5% ciascuno. Le aziende che ancora oggi scelgono di produrre in Italia sono la conferma di quanto, per prodotti di qualità e prezzo elevato, sia più importante il luogo di produzione del costo di trasporto. La sfida per trattenere e riportare la manifattura in Italia riguarda più che altro il riposizionamento verso produzioni complesse e di qualità, per le quali è fondamentale il legame con il territorio che deve essere capace di innovare e controllare l’intero ciclo produttivo, partendo dalla progettazione per giungere alla realizzazione e all’offerta del servizio al cliente. Di fatto le poche imprese italiane che si accingono al fenomeno del reshoring sono quelle in grado di sperimentare costantemente nuove tecnologie e nuovi modelli organizzativi. In altre parole, quelle che facendo leva sulla ricerca e sviluppo mostrano maggiore capacità di fare del rapporto col territorio un vantaggio competitivo. In realtà il reshoring è un fenomeno non facile da favorire. Anche se considerato come una delle scommessa atte a favorire la crescita dell’industria italiana intesa come cardine per lo sviluppo dell’intero Paese. Una scommessa che si gioca sull’attrazione di investimenti internazionali (che iniziano a mostrare un timido aumento, anche se ancora insufficienti) e sulla promozione di investimenti interni volti all’espansione delle imprese italiane sui mercati esteri. Occorrono nuove strategie convergenti capaci di indurre un attivismo manifatturiero adatto a sfide industriali non solo europee ma anche globali. Per poter sostenere questa sfida bisognerebbe avere una pubblica amministrazione più snella, trasparente ed efficiente che, facendo leva su una giustizia tempestiva ed efficace, sia capace di sradicare tutti i fenomeni di illegalità, corruzione e concorrenza sleale delle imprese. Un fisco meno esoso caratterizzato da regole semplici e chiare. Infrastrutture materiali e tecnologiche di alto livello che partano da una viabilità più efficiente per arrivare a una maggiore diffusione della banda larga. Maggiore attenzione per tutte le attività di ricerca e formazione che mettano al primo posto il concetto di qualità. In altre parole, la ridefinizione di un ambiente più naturale che sia favorevole non solo per l’impresa, ma anche per la cultura di mercato e la competizione. Il reshoring deve essere attuato partendo dal concetto ‘di fare meglio e di più’ per arrivare a una condizione di sviluppo economico che sia capace di colmare il gap di memoria tra passato e futuro, integrando vecchie e nuove competenze che non possono più prescindere dall’applicazione del concetto di digital manufacturing. Per tornare a produrre in Italia occorrono competenze, esperienza e cultura d’impresa capaci di rivalutare il concetto del Made in Italy, focalizzandosi su quei fattori (il capitale umano, il capitale sociale, le esperienze di territori di antica e solida industrializzazione, l’attitudine alla flessibilità e all’innovazione di processo) capaci di rimettere in gioco il connubio tra tradizione e innovazione, secondo il puro e inconfondibile stile italiano che da sempre ci contraddistingue.

Filippis: Il fenomeno del re-shoring rappresenta per l’industria italiana un veicolo per fortificare, regolamentare e riqualificare il Made in Italy come prodotto di eccellenza. Esiste un forte parallelismo con la filosofia di Mitsubishi Electric, che ha fatto della qualità Made in Japan un cavallo di battaglia e che ha custodito gelosamente, anche quando sembrava molto più semplice delocalizzare le produzioni verso Paesi in cui il costo del lavoro risultava drammaticamente più basso rispetto agli standard giapponesi. Naturalmente questo processo, tutt’altro che semplice, ha imposto una rivisitazione pesante del processo produttivo volto all’incremento dell’efficienza nei vari reparti. Sin dal 2005, Mitsubishi Electric ha implementato un processo innovativo delle proprie fabbriche chiamato e-F@actory, che ha posto le basi per quello che molti anni dopo è diventato il paradigma Industry 4.0. Automatizzazioni delle linee produttive con un’elevata quantità di dati raccolti e scambiati con i sistemi informativi aziendali via MES sono state le colonne portanti di un concetto che adesso vede un’alleanza di oltre 3.000 partner e che garantisce una soluzione completa dal livello di fabbrica fino al livello business. Lavorare in questa direzione, con l’aggiunta di una politica di rivalutazione della solidità economica nazionale, potrebbe valorizzare e incrementare la sfida del re-shoring per le aziende italiane.

Zuffada: Il Made in Italy è importante, dobbiamo farlo valere di più, ma non può essere l’unico motivo per cui un’azienda che, ha deciso in passato di delocalizzare, torni a produrre in Italia. Si torna a produrre soprattutto se si ha un vero vantaggio competitivo rispetto al mercato. L’Italia quanto a competenze, esperienza e attitudine alla flessibilità di processo non ha bisogno di lezioni da parte di nessuno, se recuperiamo competitività industriale e velocità nel rispondere alle richieste del mercato possiamo vincere tutte le sfide internazionali.

A.O.: Negli USA il fenomeno è dovuto principalmente a incentivi volti a favorire il ritorno delle imprese. In Italia?

Selva: Come detto il ritorno della produzione in Italia è figlio della presa di coscienza dei vantaggi che possono derivare dalla semplificazione organizzativa, ma anche delle opportunità messe a disposizione dal governo come la nuova Sabatini e il super e iperammortamento.

Boffa: Gli incentivi sono un fattore chiave anche in Italia, dove il governo ha lanciato il piano Industria 4.0 con l’ormai famoso iper-ammortamento del 250% e altri incentivi come l’aumento delle detrazioni per le attività di ricerca e sviluppo dal 25% al 50%. L’impatto dell’iper-ammortamento, rispetto al precedente super-ammortamento del 140% farà una grande differenza nell’indurre le aziende a reinvestire per riportare in Italia la produzione, rinnovare gli impianti e renderli più smart. Ritengo però che, al di là degli incentivi, in Italia serva anche fare cultura dell’innovazione, perché permane una forte resistenza al cambiamento e una tendenza ad aggrapparsi alla tradizione e alla conservazione nel modo di operare delle aziende. Come ABB siamo impegnati da tempo a promuovere la cultura dell’innovazione, della ricerca, dell’automazione avanzata e della connettività, che sono fiori all’occhiello dei nostri stessi stabilimenti. Spesso e volentieri ospitiamo i nostri clienti a Dalmine e Frosinone per mostrare concretamente che cosa significa cambiamento. In particolare, lo SmartLab di Dalmine è un laboratorio tecnologico, dove si possono vedere in azione tutte le tecnologie sviluppate da ABB nell’ottica dell’innovazione.

Randieri: La tendenza al reshoring, oggi cavallo di battaglia della politica Trump, ha iniziato per la prima volta a manifestarsi negli USA sin dal periodo antecedente la crisi del 2009. Tra il 1998 e il 2012 la manifattura americana ha avuto una forte riduzione del prodotto interno lordo, passando dal 15% all’11%, perlopiù causato dalla progressiva migrazione all’estero delle attività produttive che ha danneggiato l’indotto, sia nell’industria sia nel terziario, arrivando a bruciare quasi 6 milioni di posti di lavoro. Innescando un effetto moltiplicatore negativo che ha generato perdite all’economia la cui stima è stata superiore al valore della produzione delocalizzata. Per porre rimedio a ciò e spinta da effetti convergenti quali la diminuzione del costo dell’energia e il progressivo rincaro della manodopera cinese, l’amministrazione americana si è attivata predisponendo tutta una serie di misure per facilitare il reshoring, ben presto imitata anche da alcuni Paesi europei, primi fra tutti il Regno Unito: incentivi alla ricerca e sviluppo, agevolazioni fiscali, hub industriali ecc. In Italia e in Europa il fenomeno è più recente, qualcosa si muove nelle aziende manifatturiere che quantomeno sono fortemente ‘stuzzicate’ nel ripercorrere all’indietro la via per l’oriente. A mio avviso però è ancora troppo presto per immaginare un trend che nettamente faccia recuperare al nostro Paese una manciata di punti di PIL nel comparto manifatturiero, ma di certo il reshoring è un’opportunità che va attentamente presa in considerazione e non va sprecata, soprattutto nell’ottica di rinvigorire il valore originario del Made in Italy: quel ‘saper fare bene’, che ancora oggi malgrado la forte crisi continua a costituire il nostro più grande patrimonio industriale, che deve essere tutelato e tramandato alle future generazioni. In Italia il saldo tra le aziende che lasciano il Paese e chi rientra è purtroppo ancora negativo, tuttavia diverse imprese che avevano delocalizzato in Cina, Vietnam, Romania timidamente iniziano a tornare a produrre a casa propria. Le dimensioni del fenomeno in Italia per il momento sono ancora fortemente circoscritte e inferiori rispetto agli Stati Uniti, anche perché in Italia purtroppo non esiste lo shale gas (gas metano estratto da giacimenti non convenzionali in argille parzialmente diagenizzate, derivate dalla decomposizione anaerobica di materia organica contenuta in argille durante la diagenesi), di contro l’energia è più cara del 30% rispetto alla media europea, rendendo le nostre imprese meno competitive nell’attrarre investimenti e capitali esteri. Il reshoring italiano rimane quindi circoscritto alle produzioni di qualità, in particolare la manifattura associata al Made in Italy, e quelle delle tecnologie complesse che richiedano una forte interazione tra il centro di ricerca e sviluppo e quello di produzione. Mi riferisco alle produzioni complesse pensando in particolar modo all’automazione industriale spinta e alla meccanica di precisione che richiedono un mix di conoscenza, tecnologia e lavoro specializzato, per nostra fortuna, ancora difficilmente replicabili nei Paesi emergenti. Sin quando rimarrà l’incertezza sul futuro, anche chi potrebbe tornare o rafforzare la sua presenza tende a rinviare la decisione. Molti preferiscono limitare al minimo le nuove assunzioni, anche se in questo periodo le azienda ne avrebbero probabilmente bisogno. Gli imprenditori delle piccole realtà produttive sono rimasti traumatizzati dal fatto di aver dovuto licenziare, negli anni più duri della crisi, i propri dipendenti. Per molti quella decisione è stato un trauma perché dietro ogni dipendente c’è sempre una persona con cui si è lavorato per molti anni e con cui si è stretto un rapporto particolare. Oggi, prima di tornare ad assumere, vogliono pensarci due volte. Devono evitare di trovarsi di nuovo in una situazione come quella vissuta. Sono tuttavia le imprese di dimensione maggiore quelle che alimentano soprattutto il fenomeno del reshoring.

Zuffada: Gli incentivi sono importanti soprattutto nella fase iniziale nella quale le aziende stanno pensando di tornare a produrre nel Paese d’origine e devono essere aiutate a decidere. Il solo incentivo non può essere il motivo principale per cui si applica il reshoring. Si è delocalizzato principalmente per essere competitivi ed è per essere ancora più competitivi che si può e si deve tornare. La sfida si deve spostare dal piano del solo costo del lavoro a quello del miglioramento del processo industriale basato sull’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del processo manifatturiero. I fattori abilitanti che rendono possibile questo cambiamento sono vari e vanno dalla disponibilità e qualità delle soluzioni tecnologiche, alle infrastrutture digitali, alle competenze umane e agli investimenti finanziari. In particolare, l’incremento della digitalizzazione e della connettività nelle fabbriche permetterà di colmare il gap esistente tra mondo reale e virtuale e di migliorare i processi produttivi, consentendo di raggiungere obiettivi di performance ed efficienza fino a oggi inimmaginabili.

A.O.: Automazione, digitalizzazione, innovazione, Industry 4.0 sono in grado di aiutare tale fenomeno?

Boffa: Come già accennato, la redistribuzione della manifattura su scala mondiale e il suo progressivo ritorno nei mercati tradizionali sono favoriti dal cambiamento dei paradigmi produttivi e dall’adozione di nuovi business model. È difficile sapere oggi come sarà la situazione da qui a 20 anni ma è certo che l’automazione avanzata e la connettività daranno una flessibilità senza precedenti. Non solo flessibilità locale della singola macchina ma flessibilità di interi siti produttivi, di capacità produttiva, di modalità di produzione e relativa ottimizzazione, con possibilità di realizzare in una stessa linea oggetti diversi e personalizzarli, attività nella quale siamo maestri in Italia e che diventa molto più efficiente se si hanno a disposizione tecnologie avanzate. In questo contesto ABB può svolgere un ruolo fondamentale perché l’automazione avanzata è un fattore abilitante dell’Industria 4.0. Attraverso la propria offerta di tecnologie e servizi connessi, come motori e azionamenti, robotica collaborativa, sensoristica di campo e software di gestione, supervisione e ottimizzazione, ABB favorisce in maniera proattiva questo cambiamento, in Italia come in altri Paesi. Il percorso non sarà immediato né banale, ma è assolutamente perseguibile. E come già avvenuto in altri ambiti, per esempio nel caso dell’efficienza energetica, ABB è una dei grandi player del mercato ed è pronta a svolgere il proprio ruolo: promuovere l’innovazione e l’evoluzione tecnologica è la missione dell’azienda.

Randieri: Sicuramente il reshoring è uno degli elementi significativi connessi al concetto di automazione, digitalizzazione, innovazione, Industry 4.0, inteso come l’elemento capace di sostenere e generare la riorganizzazione del sistema produttivo secondo tale metodologia. L’impatto sulle imprese di questi elementi è quello di incrementare la produttività e ridurre i costi di produzione, con un effetto sostituzione che attiene alle competenze e alle capacità della forza lavoro di interagire con la dimensione digitale dell’organizzazione, dell’azienda e della supply chain. La quarta rivoluzione industriale senza ombra di dubbio rimette al centro il lavoro in termini di competenze, la qualità, il valore del Made in Italy, stimolando il rientro in patria della produzione. Per sfruttare al meglio questa nuova opportunità occorre però effettuare un’attenta analisi delle criticità del sistema Italia. Tutto ciò che ha a che fare con la riorganizzazione e modernizzazione di qualsiasi processo produttivo ha sicuramente un impatto positivo in termini di reshoring. È ben noto che il fenomeno opposto della delocalizzazione è avvenuto unicamente per risparmiare sui costi considerandoli come fattore più importante di molti altri. Se da un lato è vero che la delocalizzazione tende a rimpatriare la produzione, ciò non implica che Industry 4.0 necessariamente porti nuovamente tutto il lavoro in Italia, questo perché il tasso di sostituzione robotica è più alto rispetto al reshoring. Il problema di fondo rimane comunque quello di non riuscire a garantire i livelli occupazionali che erano presenti in precedenza all’offshoring. Secondo alcune stime si parla di ripristinare solamente il 10-15% di quello che era l’occupazione prima che le aziende migrassero all’estero, con l’ulteriore restrizione che prevede l’utilizzo di manodopera sempre più qualificata. Infatti è ben noto che tutte le tecnologie connesse a Industry 4.0 richiedono nuove competenze difficili da trovare che sicuramente rendono certe forme di lavoro umano economicamente non competitive. I progressi tecnologici porteranno all’automazione di molti processi manuali esistenti, ma non provocheranno la sostituzione delle persone, piuttosto ne cambieranno il ruolo: assisteremo allo spostamento dall’esecuzione manuale della produzione, alla supervisione dei processi automatizzati in tempo reale. Con la progressiva introduzione dell’IoT in fabbrica la catena di montaggio cambierà il ruolo dell’operaio limitandolo alle attività di configurazione dei macchinari e della relativa supervisione. I robot avanzati potranno essere impiegati in attività sempre più simili a quelle umane. La produzione verrà gestita virtualmente, favorendo sempre più il controllo remoto grazie a cui sarà possibile individuare i problemi e risolverli a distanza. Quindi se da un lato è vero che Industry 4.0 rappresenta un’occasione da non perdere, dall’altro il rischio è che le produzioni si possano spostare in altri Paesi europei, maggiormente competitivi sul piano Industry 4.0. Bisogna essere in grado di cogliere l’occasione di rinnovamento del sistema Paese rappresentata da Industry 4.0 integrando la manifattura classica e l’industria metalmeccanica con altri settori e servizi innovativi e tecnologici, ridefinendo i processi produttivi. Non dimentichiamo mai che la delocalizzazione è un fenomeno legato al costo del lavoro e alla produttività, Industry 4.0 invece è una sorta di modernizzazione dei processi produttivi di tipo tradizionale. Quindi, si può parlare con maggior sicurezza solo di un ritorno in Europa dei processi produttivi delocalizzati, e quindi di near reshoring. L’Italia per reggere la concorrenza europea deve lavorare di più su formazione e materia prima umana, su un forte coordinamento delle filiere. Occorre coinvolgere imprenditori e manager, che non sempre sono in grado di districarsi tra interventi da fare, investimenti e budget. Investire in innovazione purtroppo non basta, occorre una visione strategica moderna, perché Industry 4.0 digitalizza tutte le fasi della produzione, della logistica, con strumenti innovativi. Industry 4.0 rinnovando tutta la filiera (produzione, distribuzione, logistica), valorizzando ricerca e sviluppo, design, puntando su innovazioni con forte contenuto tecnologico, può rende più conveniente riportare in patria la produzione. Quando alla richiesta di competenza si uniscono i processi di automazione abbiamo un connubio perfetto, perché l’automazione mira alla riduzione dei costi ampliando i volumi, mentre la competenza riduce la complessità di lavorazione, migliorando le modalità di lavoro, alimentando sia l’innovazione di prodotto sia di processo. Saper sfruttare a pieno i fattori fondamentali che collegano Industry 4.0 e rilocalizzazione significa modernizzare il processo produttivo, consentendo di ridurre i costi aumentando nel contempo il valore percepito dal cliente, attraverso la qualità del prodotto. Su tutto questo bisogna puntare mediante un piano di politica industriale ben preciso, che abbia obiettivi chiari per il Paese, indicando quali strumenti e quali incentivi attivare. Occorre rendere più flessibili i bandi europei, unificandoli per filiere e settori, puntando maggiormente su forme innovative di aggregazione, come i contratti di rete.

Selva: Senza un significativo utilizzo delle nuove tecnologie, dell’automazione e di un processo di digitalizzazione dei processi produttivi, non è possibile risultare vincenti in un mercato globale sempre più affollato e competitivo. In fiera a SPS Italia (Parma, 23-25 maggio) mettiamo in mostra e facciamo confrontare gli attori di tutti questi mondi per rimanere la piattaforma in cui il comparto manifatturiero italiano può davvero trovare un’offerta completa e risposte affidabili. Con questo scopo abbiamo allargato le categorie merceologiche e lavorato sulla presenza dei principali player anche del digitale.

Filippis: Il processo di innovazione tecnologica apportato dalla quarta rivoluzione industriale è senza dubbio un punto cruciale per il fenomeno del re-shoring, ponendo obbligatoriamente le proprie basi sul processo di automatizzazione integrato in una piattaforma in grado di gestire tutti i punti della fabbrica, la collezione dei dati rilevanti e il trasferimento sicuro di questi ultimi verso sistemi informativi aziendali, database e cloud. In tale scenario, la proposta di Mitsubishi Electric passa attraverso la piattaforma multi-CPU iQ-R, tramite la quale si è in grado di gestire, con un unico hardware, l’intero impianto, dall’elettromeccanica ai software di supervisione, dalla logica alla robotica, passando attraverso il motion e il controllo numerico. Il connubio tra efficienza e tracciabilità del processo favorisce di fatto la produttività a fine linea e aggiunge valore alla singola unità di prodotto.

Zuffada: Certamente. Industry 4.0, fabbrica intelligente, smart manufacturing sono tutte definizioni e, in qualche modo, sinonimi di quella che è stata definita come la quarta rivoluzione industriale. Come oramai è noto, la quarta rivoluzione industriale, fa riferimento a uno scenario in cui l’uso pervasivo delle tecnologie digitali aumenterà la competitività e l’efficienza delle imprese manifatturiere, grazie all’interconnessione e alla cooperazione di tutte le risorse utilizzate nella fabbrica e lungo la catena del valore. Il nuovo paradigma produttivo sposterà l’attenzione dalle economie di scala e dalla riduzione del costo del lavoro, alla flessibilità e alla ‘personalizzazione’ di prodotti e servizi, come principale fonte di valore aggiunto e caratteristica di competitività. È un nuovo modo di produrre sempre più ritagliato sulle esigenze del cliente che può portare enormi benefici a un tessuto industriale come quello italiano che per inventiva, creatività e affidabilità non ha eguali al mondo. Siemens, lavorando in stretta collaborazione con le imprese, mette a disposizione delle PMI e delle grandi aziende soluzioni integrate di automazione e software industriale per gestire e ottimizzare tutta la catena di creazione del valore.

A.O.: Può il reshoring essere un problema dal punto di vista legale, sia per questioni legate alla burocrazia che dal punto di vista amministrativo?

Boffa: Non so quanto la burocrazia abbia avuto un peso nella scelta di molte aziende di delocalizzare, il problema principale erano i costi. Tuttavia, se qualcuno aveva timori in tal senso e le condizioni non cambiano, la burocrazia potrebbe ancora rappresentare un freno al ritorno delle attività produttive in Italia. Però, il governo ha lanciato un piano nazionale per l’Industria 4.0 con l’obiettivo dichiarato di riportare la manifattura in Italia, quindi ci si aspetta che questo sforzo strategico ed economico sia accompagnato da un alleggerimento dell’iper-burocrazia e da uno snellimento delle procedure.

A.O.: Riguardo alla convenienza delle operazioni, è possibile svolgere tutte le operazioni necessarie in autonomia o è utile cercare l’assistenza di un professionista? E in caso positivo, quali sono i vantaggi di rivolgersi a un professionista?

Boffa: Per riportare la manifattura in Italia, non si può prescindere dalla digital disruption e dall’Industria 4.0, come dicevamo in precedenza. È assolutamente necessario tenere in considerazione questi trend e per andare in questa direzione il percorso è lungo e prevede delle tappe. Ci sono già aziende, anche nel nostro Paese, che si stanno muovendo a piccoli passi, per esempio adottando nuovi sistemi via via sempre più connessi. Ci sono anche aziende più ambiziose, che stanno avviando una vera ‘business transformation’. Per fare questo, devono accedere a competenze nuove andando spesso in partnership con realtà esterne. Si prendano per esempio il nascere di nuove tipologie di aziende digitali e di data analytics, che finora non esistevano, e i progetti sostenuti dalla UE in ambito Horizon 2020 che coinvolgono, tra gli altri, istituti di ricerca nazionali e internazionali. Certo, qualcuno potrebbe anche riuscire a inventarsi da solo la sua Industria 4.0… ma non siamo tutti Steve Jobs.

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Tavola Rotonda pubblicata su Automazione Oggi N. 396 – Marzo 2017 – Anno 33

AutomazioneOggiÈ il mensile dedicato al mondo dell’automazione industriale e delle relative tecnologie. Oltre a fornire rigorose e dettagliate informazioni su prodotti e software program, componenti, applicazioni, Automazione Oggi segue da vicino il mercato con inchieste, analisi e tavole rotonde. Propone a scadenze regolari l’appuntamento con le “Information”, i supplementi monotematici di approfondimento settoriale dell’offerta disponibile sul mercato industriale italiano. L’inserto “e-@utomation”, dedicato all’integrazione tra impresa e produzione, completa la copertura del goal di riferimento offrendo una panoramica sulle più progressive tecnologie e metodologie di gestione integrata dei processi aziendali. Automazione Oggi si rivolge soprattutto alla direzione tecnica aziendale, ai progettisti, ai system integrator, ai costruttori e agli utilizzatori di macchine e impianti automatici, ai direttori e ai tecnici di produzione, I.T. supervisor e responsabili controllo qualità operanti nei vari settori manifatturieri. Distribuita in abbonamento e mailing listing.

 

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