Automazione Oggi N. 378 - Gennaio/Febbraio 2015 - Anno 31

AO Gennaio/Febbraio 2015-1

Panorama “Il mercato dell’ICT”

Intervista a Cristian Randieri

A cura di Vitaliano Vitale

Con Cristian Randieri, Ph.D., president e CEO di Intellisystem Technologies; Andrea Massari, country manager di Avnet Technology Solutions Italia; Filippo Ligresti, country manager di Dell Italia; Edoardo Albizzati, country manager di Exclusive Networks Italy.

Introduzione 

L’annuale rapporto sull’ICT stilato da Assintel e Nextvalue fotografa un mercato statico e ancora ‘in ritardo’: occorre far ripartire la ‘macchina’ e ‘digitalizzare’ il Paese. Ma vediamo il parere di alcuni esperti del settore

L’analisi di un mercato deve partire dai suoi numeri e i dati che citiamo provengono da una fonte autorevole: Assintel (www. assintel.it), l’associazione nazionale delle imprese ICT, che ha recentemente realizzato l’annuale report, in collaborazione con Nextvalue (www.nextvalue.it). Il mercato che ne emerge è statico e la necessità è quella di far ripartire la ‘macchina’ per favorire davvero il Paese in senso digitale. Entrando nello specifico, il valore del mercato italiano dell’ICT ha raggiunto i 24,3 miliardi di euro nel 2014, crescendo appena dello 0,7% sull’anno precedente. La crescita è visibile solo nei settori più innovativi e connessi alla ‘mutazione digitale’, per esempio il cloud computing. Per esso la spesa è cresciuta in un anno del 22%, risultato della somma della componente classica (+33%) e di quella di ‘business process as a service’ (+13%). L’hardware, per contro, continua a recedere (-1,6%) trascinato dal declino dei PC solo in parte controbilanciato dalla crescita di smartphone (+9,3%) e tablet (+5%). Interessante anche l’analisi della provenienza degli investimenti. Tutti i segmenti di mercato legati alla spesa pubblica in ICT continuano a calare, innescando forti dinamiche di downpricing a svantaggio dei vendor. Nel dettaglio, la spesa della pubblica amministrazione centrale si è contratta del 4,1%, quella degli enti locali del 3,9% e quella della sanità del 3,1%, mentre più contenuti sono stati i ribassi del commercio (-1,65) e dell’industria (-0,2%). In ogni caso, nulla di eccitante se si attendono segnali di ripresa dell’economia. Chi sembra invece tornare a investire sono i tradizionali ‘big spender’: le banche con un +3,2%, le assicurazioni (+3,1), le telecomunicazioni (+3,3%) e le utility (+4,4%). In lieve ripresa anche gli investimenti in ICT delle grandi aziende (+0,8%), mentre restano negativi quelli di piccole (-3,4%) e micro imprese (-2,3%). Una riflessione è d’obbligo… Incrementare il mercato dell’ICT per crescere nel ventunesimo secolo è obbligatorio, ma è evidente la carenza culturale. Il nostro Paese ha realizzato il boom del dopoguerra basandosi sulla lotta all’analfabetismo. Un segno di sviluppo di quei tempi fu la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi” con il Maestro Manzi. Oggi noi abbiamo bisogno del ‘Maestro Manzi digitale’, per far capire a quella buona metà del Paese che ‘non è mai troppo tardi’ per digitalizzarsi. Investire nella cultura digitale (e in parallelo nella digitalizzazione dei servizi della PA) significherebbe non soltanto rivitalizzare un mercato, ma anche contribuire all’emancipazione (digitale) del Paese. Abbiamo voluto coinvolgere primari attori del mercato ICT ponendo loro qualche domanda che toccasse un po’ tutti gli aspetti più attuali e prospettici del mercato. A loro la parola, con la certezza che anche loro sono convinti che “Non è mai troppo tardi”.

AO Gennaio-Febbraio 2015 - Il mercato dell'ICT - Intellisystem Technologies

Automazione Oggi: L’accordo IBM-Apple sembra rivoluzionare il mondo del ‘mobile’ dedicato all’industria. Come vede l’evoluzione del manifatturiero verso il mondo iOS? La collaborazione tra questi due ‘giganti’ rappresenta un pericolo o un’opportunità?

Filippo Ligresti, country manager di Dell Italia (www.dell.it): “Mi pare prematuro esprimere dei giudizi su quello che per ora è solo un annuncio di alleanza: vedremo. Credo che l’evoluzione delle ‘mobile app’ nel mondo professionale sia ancora in fase embrionale e che la vera opportunità in termini di guadagno significativo di produttività in azienda, si realizzi con l’integrazione delle app nei sistemi aziendali. In questo senso, IBM può fornire un contributo ma non è certo l’unica. In ogni caso, per noi rappresenta un’opportunità: la ‘mobilizzazione’ delle applicazioni ha in genere immediate conseguenze sul data center, dove la crescita dei dati da processare e gestire richiede un’infrastruttura sempre più flessibile, scalabile ed efficiente. Esattamente quello che noi di Dell oggi facciamo particolarmente bene”.

Edoardo Albizzati, country manager di Exclusive Networks Italy (www.exclusivenetworks. it): “Si tratta di una svolta che avrà sicuramente un forte impatto sul business. È evidente che il ruolo dei device mobili e delle applicazioni che li collegheranno ai sistemi informativi aziendali si appresta a divenire chiave e investirà ogni aspetto dei processi di business aziendali. Quella tra IBM e Apple è un’alleanza tra aziende che portano, ciascuno nel proprio campo specifico, una competenza e un’esperienza ai massimi livelli. Dal nostro punto di vista un’apertura generalizzata e strutturata al cloud e la diffusione dei device mobili nelle aziende apre opportunità legate alle delicate e complesse problematiche della sicurezza, area in cui ci sentiamo ben attrezzati e pronti a offrire al mercato soluzioni che permettano di sfruttare in tranquillità tutti i benefici della convergenza tra cloud e mobilità”.

Andrea Massari, country manager di Avnet Technology Solutions Italia (www.ts.avnet.com/it): “Stiamo assistendo a una forte crescita della diffusione dei dispositivi mobile e delle applicazioni nei contesti aziendali: questo accordo ne è la testimonianza. La partnership tra questi due prestigiosi brand, a nostro parere, non può essere che un’opportunità, perché la mobilità aziendale ne guadagnerà in sicurezza e funzionalità e, lato business, aprirà nuovi orizzonti sul modo stesso di lavorare potenziando ulteriormente aspetti quali collaborazione e innovazione”.

Cristian Randieri, Ph.D., president e CEO di Intellisystem Technologies (www.intellisystem. it): “L’accordo IBM-Apple nasce dalle mutue esigenze di espandere i rispettivi mercati. Poiché ognuna delle due aziende non invade il mercato dell’altra, un’alleanza era più che prevedibile. Dalla letteratura ufficiale sull’accordo si evince l’offerta di decine di soluzioni business specifiche per settore, app native, servizi cloud, una nuova offerta di assistenza e supporto su misura per le esigenze dei clienti business. Mi sembra che sia un tentativo di dominare il mercato della mobilità aziendale attraverso la creazione di un player tecnologico di riferimento. Credo che l’attenzione dei dipartimenti IT si stia spostando sempre più dai device alle app, data una marcata standardizzazione dei device stessi. Vedo come principale il problema dell’integrazione dei device e app mobili con l’infrastruttura aziendale e il parco applicativo già esistente. Detto questo, mi sembra che l’unione, in definitiva, sia un vantaggio reciproco per i due colossi, anche nell’ottica di una maggiore adozione di politiche Byod (Bring your own device) e data anche la diffusione di apparecchi Apple. Fatte queste premesse per le aziende come la mia penso si profilino due opzioni. La prima è quella di accettare l’alleanza ampliando la propria offerta e, ove possibile, integrandosi con le loro soluzioni. La seconda è quella di continuare per la propria strada rischiando di perdere sempre più quote di mercato. In conclusione, penso che la soluzione migliore sia una via di mezzo, ovvero sfruttare il loro canale specializzandosi in applicativi e hardware che siano progettati in modo verticale sui loro device e applicativi. Certamente è più facile a dirsi che a farsi. Occorrono investimenti per poter lavorare con le nuove piattaforme e i relativi standard, che di fatto sono proprietari. A ben vedere ci sarebbe anche l’opzione dell’attesa delle contromosse della concorrenza di IBM e Apple. Com’è noto la competizione porta vantaggi al mercato”.

AO: Il cloud si fa sempre più strada nell’industria, oltre che nel privato. Oggi lo storage nella ‘nuvola’ porta a una rivoluzione dell’organizzazione lavorativa e dei modelli di business. È lampante però il problema della sicurezza. La sua azienda come vede questo problema? Pensa che le decisioni relative alla sicurezza informatica del cloud siano appannaggio del settore IT o che le business line operative debbano avere voce in capitolo?

Albizzati: “Non vi è business senza sicurezza: disporre delle soluzioni business più efficienti e avanzate senza la certezza di poter contare sul massimo livello possibile di security non porta di fatto valore alcuno. E se è vero che le competenze tecniche chiave in materia risiedono tipicamente nel settore IT, la scelta delle specifiche soluzioni di sicurezza dovrebbe idealmente avvenire nell’ambito di una collaborazione in cui le linee di business forniscono all’IT le indicazioni per identificare le applicazioni mission critical e le esigenze operative specifiche, in modo da scegliere le soluzioni che assicurino la massima efficienza e competitività in un ambiente sicuro”.

Massari: “Il cloud permette alle aziende di qualsiasi dimensione un utilizzo dei servizi IT innovativo, più agile e veloce, con conseguenti vantaggi economici e in termini di gestione dell’infrastruttura e dei servizi. Per molti anni ancora, riteniamo che continueranno a coesistere soluzioni ibride in cui i cloud pubblici dovranno interagire con le infrastrutture private. Gli integratori dovranno proporre infrastrutture di cloud privati che, per soddisfare le variegate necessità dei clienti, dovranno essere adattabili, flessibili, ma soprattutto scalabili, quindi crescere con l’evolversi delle esigenze, con investimenti modesti. La sicurezza del cloud è imprescindibile per tutte le business line delle aziende, che devono tuttavia rimettersi alle competenze e skill del settore IT a garanzia di una sicurezza adeguata”.

Ligresti: “Oggi la sicurezza informatica è ‘il’ tema critico. In questo senso è chiaro che la sensibilità degli utenti è ancora bassa e spesso si sottovalutano i rischi del gestire adeguatamente informazioni importanti, in azienda e nel cloud. Pensiamo che la sicurezza richieda un approccio allargato e organico: noi lo chiamiamo ‘Connected Security’ e consente di affrontare il tema della sicurezza informatica con soluzioni modulari che coprono l’intero spettro della sicurezza, dalla determinazione dell’identità di colui che accede alle informazioni, alla crittografi a dei file (che quindi vengono protetti anche se archiviati nel cloud); dalla protezione perimetrale attraverso i più potenti firewall di nuova generazione, ai servizi di monitoraggio e gestione della sicurezza delle reti aziendali. Ritengo che ancora per un po’ di tempo le decisioni sulla sicurezza informatica, in azienda e nel cloud, è bene che rimangano proprie del settore IT: i rischi di una gestione superfi ciale sono davvero molto seri per un’azienda”.

Randieri: “Nonostante il cloud computing sia oggi parte integrante della vita digitale di quasi tutti gli utenti della rete, è la sicurezza l’argomento che ne fa dibattere l’utilizzo, soprattutto in azienda. Dai dati di F-Secure, emersi nella ricerca “Digital Company Survey 2013”, si evince che la sicurezza dei dati resta la preoccupazione principale che ostacola l’adozione di questi servizi da parte delle aziende. Il 45% delle realtà intervistate non usa il cloud per motivi di sicurezza. Sono le imprese con dai 50 ai 500 dipendenti le più scettiche nell’adozione delle tecnologie cloud, ritenute anche costose e poco performanti. Secondo il mio parere, il cloud computing è tutt’altro che insicuro, a condizione di studiare attentamente la soluzione da adottare. Il rischio più grande non è propriamente intrinseco all’offerta delle soluzioni cloud aziendali, ma deriva dal fatto che le aziende non sono capaci di fornire ai propri dipendenti un servizio online semplice e chiaro. Il dipendente non supportato nelle nuove tecnologie fi nirà per utilizzare il proprio account e le applicazioni personali al di fuori del controllo aziendale. Sicuramente questo rappresenta un rischio ben maggiore per la sicurezza dei dati. In conclusione, penso sia opportuna un’attenta e mirata opera di formazione in merito alla scelta e all’utilizzo del cloud in azienda”.

AO: I ‘Big Data’ sono un argomento di grande attualità. Qual è la sua visione in merito? Quali sono le nuove frontiere analitiche di questa ‘miniera’? Come potrebbero gli advanced analytics influenzare il mercato dell’automazione e il mondo della produzione industriale?

Massari: “La ‘consumerizzazione’ dell’IT, l’incremento del numero di utilizzatori e di device, nonché la crescente mobilità, fanno sì che le aziende abbiano a disposizione un’enorme quantità di dati da analizzare, spesso destrutturati e provenienti da più sorgenti. È per questo che, all’aumentare del volume dei dati, le imprese devono cercare di implementare un sistema centralizzato di data management per gestire l’economia delle informazioni. Per controllare il potere dei Big Data si deve prendere in considerazione un consolidamento di tutti i dati per rispondere alle molteplici esigenze del business. Orientarsi verso la ‘Converged Infrastructure’, che unisce in un’unica architettura le tecnologie di storage, computing, networking e virtualizzazione, è sicuramente un approccio vincente, perché aiuta le organizzazioni nella gestione del volume delle informazioni in crescita, soddisfacendo al tempo stesso aumento della produttività, riduzione dei costi, sicurezza e flessibilità”.

Randieri: “Le sfide che si affrontano con i Big Data sono varie, ma forse la più importante è la comprensione del significato che essi possono assumere per le aziende. Essi consentono una visione illimitata di ciò che potrebbe essere il futuro. L’adozione a livello aziendale esige che la soluzione dei Big Data possa adeguarsi senza problemi alla struttura IT già esistente. I dati macchina ottenuti costituiscono la più recente e copiosa fonte di informazione. Per ottenere i vantaggi della Internet of Things sono essenziali un’estrema scalabilità, una gestione degli eventi in tempo reale e un abbassamento del time-to-vision. L’utilizzo e l’analisi dei Big Data consente alle aziende di creare e applicare modelli predittivi per raggiungere rapidamente gli obiettivi di performance aziendali prefissati. Concretamente, nel caso del mercato dell’automazione, si potrebbe immaginare un mondo in cui i sistemi intelligenti, Internet of Things, sensori e robotica si combinino per automatizzare le grandi aree di produzione, davvero lo ‘smart manufacturing’. Realizzare tutte le potenzialità della produzione con l’utilizzo dei Big Data è, al momento, qualcosa di davvero avveniristico. Dipendere dai Big Data potrebbe rappresentare la quarta rivoluzione industriale”.

Albizzati: “L’analisi dei Big Data comincia a dimostrare il suo valore per il business in diversi ambiti, soprattutto TLC, servizi finanziari, retail e produzione industriale discreta. Le caratteristiche proprie dei Big Data, volume delle informazioni, velocità di generazione dei dati e varietà delle tipologie di dati, costituiscono una grande sfida tecnologica, ovviamente una grande opportunità considerando il valore dei risultati di una continua analisi del flusso di informazioni provenienti dalla produzione. Gli advanced analytics permettono un nuovo livello di profondità e velocità nel monitoraggio della produzione e permettono di essere estremamente reattivi ed effi caci nei processi di ottimizzazione e nella risposta alle esigenze dei clienti”.

Ligresti: “Big Data è la logica conseguenza della digitalizzazione che, grazie a tecnologie sempre più potenti e miniaturizzate, sta coinvolgendo ogni settore della nostra vita. A brevissimo ogni oggetto, fermo o in movimento, sarà collegato alla rete e registrerà informazioni. Questo Internet of Things creerà uno ‘tsunami di dati’ la cui portata è diffi cile immaginare oggi. L’opportunità nella correlazione intelligente di questi dati è immensa. Le sfi de, a mio avviso, stanno in una gestione effi ciente di questa quantità enorme di dati di tipologia diff erente, che richiede tecnologie ad alte prestazioni ma a bassi costi visti i volumi, e in un’effettiva correlazione degli stessi. È qui che gli Advanced Analytics devono riuscire a dare valore e intelligenza a tutte queste informazioni. Un’occasione per noi di Dell che, grazie a soluzioni di gestione dati moderne e scalabili consentiamo di affrontare questo tsunami con efficienza”.

AO: La stampa 3D è una nuova frontiera dell’ICT che impatta direttamente sulla produzione. Che futuro vede per questa tecnologia?

Randieri: “Le potenzialità delle nuove tecnologie basate sulla stampa 3D sono sempre più al centro dell’attenzione di produttori e consumatori accompagnate da previsioni di molti venture capitalist e di società di ricerche. Si è provato a stimare, anche in termini economici, quale sarà il futuro della stampa 3D. Canalys, per esempio, prevede che il mercato globale della stampa 3D crescerà da 2,5 miliardi di dollari nel 2013 a 16,2 miliardi entro il 2018. È chiaramente troppo presto per sostenere che la manifattura additiva avrà la forza per sostituire i tradizionali processi produttivi. Sicuramente esistono vantaggi per grandi e piccole aziende: macchinari meno costosi, sostegno alla competitività di aziende artigiane iperspecializzate, condivisione di processi di design (crowd-design) e di ricerca di servizi (crowd-sourcing), allargamento della competizione anche alle piccole aziende, diff usione di un modello di lavorazione e commerciale digitale (si vendono fi le di lavorazione). Sono convinto che la stampa 3D avrà un notevole impatto sull’accorciamento delle supply-chain. Stampare in tre dimensioni i dati contenuti in un fi le di progettazione ha implicazioni importanti sulle logiche degli attuali sistemi di gestione logistica. È ipotizzabile che le grandi fabbriche possano essere sostituite da laboratori eco-sostenibili per la produzione di serie limitate e personalizzate di piccoli manufatti. La stampa 3D permette inoltre l’utilizzo di materiali innovativi e geometrie produttive molto complesse non riproducibili con lo stesso livello di precisione in un processo di assemblaggio”.

Massari: “Visto il tasso di crescita in veloce ascesa, gli osservatori di questo mercato sono tutti concordi nel ritenere che la stampa 3D cambierà il mondo, così come è avvenuto prima con PC e cellulari. Questo non avverrà nell’immediato, ma sicuramente è una tecnologia che aff ascina (basta osservare la produzione di un oggetto) e che cambierà non solo l’industria, ma anche la nostra vita quotidiana quando i prezzi diverranno più accessibili”.

Ligresti: “Secondo i dati Gartner le spedizioni mondiali di stampanti 3D supereranno le 217.000 unità nel 2015, contro le 108.000 del 2014: cresceranno più del doppio ogni anno tra il 2015 e il 2018, anno in cui si prevede che le spedizioni in tutto il mondo raggiungeranno gli oltre 2,3 milioni di unità. Sul fronte ‘enterprise’ i driver di mercato primari sono le grandi opportunità che arrivano dalla possibilità di usare la stampa 3D per la prototipazione e la produzione, sommando alla riduzione dei costi di stampa anche migliore qualità e una più ampia gamma di materiali utilizzabili. L’adozione in un numero di settori merceologici sempre più ampio, penso al biomedico, all’education ecc., sta dimostrando come la stampa 3D sia un modo efficace e conveniente per ridurre i costi migliorando design, prototipi e snellendo la produzione”.

Albizzati: “Secondo i maggiori analisti come Gartner, Frost&Sullivan, McKinsey e altri, la stampa 3D è una delle tecnologie emergenti, che rivoluzioneranno le nostre vite nei prossimi 10-20 anni. McKinsey sostiene che a partire dal 2025 il 3D printing avrà a livello globale un impatto economico compreso tra i 230 e i 550 miliardi di dollari all’anno. La possibilità di costruire molti prodotti vicino all’utilizzatore finale tramite le stampanti 3D porterà a incrementare la flessibilità rispetto alle esigenze specifiche del cliente e la velocità di consegna. Al momento la stampa 3D sembra particolarmente adatta per produrre in piccola scala di oggetti complessi e sembra difficile che possa sostituire a breve le attuali modalità di produzione su larga scala”.

AO: Parliamo di Agenda Digitale. Il problema infrastrutturale in Italia è ancora irrisolto. Diventi per un secondo il Presidente del Consiglio: qual è la sua ricetta per invertire il trend e avviare lo sviluppo digitale dando corpo e respiro non solo al mercato ICT, ma a tutto il mondo produttivo del Paese?

Ligresti: “Credo che Matteo Renzi stia dimostrando con i fatti quanto l’Agenda Digitale sia cruciale per lo sviluppo del Paese. In pochissimo tempo ci siamo abituati ai suoi tweet e alle sue riunioni basate su presentazioni powerpoint e non possiamo dimenticare che, fi no a poco tempo fa, questi strumenti, che sono abituali da anni nell’industria, non erano utilizzati dalla politica. Il simbolismo in questo caso ha grande importanza e segnala a tutti, nel nostro Paese, che è il momento di accelerare se vogliamo evitare di accumulare ulteriori deficit competitivi verso le altre nazioni. Troppo si deve fare, ma mi concentrerei sulle tre cose che secondo me producono l’impatto più grande: prima di tutto la rete. È un’infrastruttura critica per il futuro del Paese e servono importanti investimenti per aggiornarla e poi renderla neutrale rispetto alla fornitura dei servizi. Quindi l’istruzione: oggi in tutto il mondo la scuola sta già sfruttando in modo significativo le possibilità off erte dalla digitalizzazione, che fornisce strumenti e stimoli decisamente superiori a quelli tradizionali. In Italia i nostri studenti vanno a scuola con zaini pesantissimi e gli insegnanti non sono stati aggiornati per sfruttare le moderne tecnologie. Qui gli investimenti sono improrogabili: come Paese, per dare un futuro ai nostri fi gli, non possiamo permetterci di non trovare le risorse necessarie. Infine, occorre una rapida e totale eliminazione della carta nella pubblica amministrazione. Con la fatturazione elettronica e la PEC si stanno già facendo progressi, ma bisogna andare oltre ed eliminare la carta dai processi della PA. In questo modo, si aumenterebbe la velocità degli stessi, che diventerebbero anche completamente tracciabili, si accelererebbe l’adozione del digitale nell’utenza e si risparmierebbero i soldi e gli spazi correlati alla gestione delle montagne di carta che vengono ancora create quotidianamente”.

Albizzati: “Per quanto riguarda l’Agenda Digitale. L’Italia è sicuramente in coda in Europa e ritengo che sarebbe estremamente utile riuscire a mettere in contatto tutti coloro che hanno interesse o giocano un ruolo decisivo in questo processo nel nostro Paese. Probabilmente quello che manca è una sorta di guida, che organizzi e definisca tempi e modalità per questa importante e necessaria modernizzazione. Credo possa essere utile sviluppare una sorta di forum che coinvolga tutti coloro che si occupano di digitalizzazione, in modo tale che insieme si possano sviluppare soluzioni o nuovi progetti. Personalmente, poi, avvierei una campagna di educazione che faccia finalmente capire che uno sviluppo o ammodernamento tecnologico non implica spreco di denaro o esuberi. Sfruttare il potenziale delle tecnologie per favorire l’innovazione potrà solo aiutare a impegnare meglio le risorse economiche e non a tagliare, bensì a creare nuovi ruoli e opportunità di lavoro”.

Massari: “In Italia la strada da percorrere è ancora lunga, ma si rileva che sempre più aziende sono consapevoli di quanto sia importante investire in innovazione, pertanto si stanno attrezzando di conseguenza. Il problema dell’Agenda Digitale non è legato solo all’infrastruttura, seppure importante, ma anche alla cultura digitale dei cittadini. È indispensabile un programma educativo a tutti i livelli, a partire già dalle scuole, che faccia comprendere come la digitalizzazione sia allo stesso tempo un’opportunità e una responsabilità per tutti e che il rispetto degli standard di comunicazione ci consentirebbe di rimanere al passo con gli altri paesi europei, recuperando quel grado di efficienza e competitività che solo un’adeguata infrastruttura IT può oggi consentire”.

Randieri: “Il tema dell’Agenda Digitale è davvero da ‘allarme rosso’. La sua implementazione doveva essere una delle principali leve per lo sviluppo e la modernizzazione del Paese. Avrebbe dovuto consentire all’Italia il recupero del gap che da anni la separa dalle nazioni più virtuose nell’adozione dell’ICT. Purtroppo l’innovazione è frenata dalla burocrazia e sono impressionanti i ritardi accumulati dal Governo nell’adozione dei provvedimenti attuativi. Alla PA è impedita la transizione al digitale, i cittadini e le imprese non hanno a disposizione strumenti per un rapporto telematico con la PA, le imprese dell’ICT non possono investire per una cronica incertezza su standard e regole tecniche. Il ritardo nell’attuazione dell’Agenda Digitale è riconducibile anche all’evidente scarsa importanza che questi temi rivestono per il Governo. Dunque la mia ricetta: non servono nuove norme, bisogna applicare, presto e bene, quelle che ci sono già. Realizzare l’Agenda Digitale dovrebbe significare riorganizzare integralmente le PA, per ridurne i costi e per trasformarle da freno all’economia a strumento di promozione dello sviluppo. Operare a livello culturale sugli utilizzatori, imprese o cittadini che siano, per creare il giusto bacino d’utenza dei servizi che in parallelo devono essere messi a disposizione. Occorre creare dei tavoli di lavoro su progetti quadro da suddividere in sottogruppi operativi. La mia idea è quella di strutturare una governance informata e partecipata, di creare un luogo di riferimento per i funzionari della PA, soprattutto locale, che vogliano esporre i loro progetti e trovare modelli strutturali adeguati alle loro esigenze. Occorre rivoluzionare il metodo di lavoro finora applicato, serve innanzitutto definire un sistema di misurazione dei risultati dell’Agenda Digitale per poi individuare gli obiettivi e con essi la strategia globale da adottare. Si tratta di un metodo che avrebbe misuratori qualitativi e quantitativi in base ai quali elaborare le scelte più adeguate per il Paese”.

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Tavola Rotonda pubblicata su Automazione Oggi N. 378 – Gennaio/Febbraio 2015 – Anno 31

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È il mensile dedicato al mondo dell’automazione industriale e delle relative tecnologie. Oltre a fornire rigorose e dettagliate informazioni su prodotti hardware e software, componenti, applicazioni, Automazione Oggi segue da vicino il mercato con inchieste, analisi e tavole rotonde. Propone a scadenze regolari l’appuntamento con le “Guide”, i supplementi monotematici di approfondimento settoriale dell’offerta disponibile sul mercato industriale italiano. L’inserto “e-@utomation”, dedicato all’integrazione tra impresa e produzione, completa la copertura del target di riferimento offrendo una panoramica sulle più innovative tecnologie e metodologie di gestione integrata dei processi aziendali. Automazione Oggi si rivolge soprattutto alla direzione tecnica aziendale, ai progettisti, ai system integrator, ai costruttori e agli utilizzatori di macchine e impianti automatici, ai direttori e ai tecnici di produzione, I.T. manager e responsabili controllo qualità operanti nei vari settori manifatturieri. Distribuita in abbonamento e mailing list.

 

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